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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

Gli ottant’anni del maestro Osvaldo Bagnoli, ricordando il Verona dei miracoli «nato per caso» e le occasioni mancate: «Berlusconi non mi volle al Milan perché secondo lui ero comunista. Io, che al limite votavo socialista, perché lo era mio padre, ma in realtà sono sempre stato apolitico»

«Berlusconi non mi volle perché secondo lui ero comunista. Gianni Brera, dopo lo scudetto vinto col Verona, gli suggerì di prendermi, ma il presidente del Milan si era messo in testa quella cosa: diceva a tutti che ero comunista». Osvaldo Bagnoli, 80 anni domani, comunista non lo è mai stato. «Al limite votavo socialista, perché lo era mio padre. Ma sono sempre stato apolitico». Il trionfo con l’Hellas dell’84 -’85 rimarrà forse unico nel suo genere.
Quando capì che potevate farcela?
«Durante le vacanze di Natale. In rosa avevo 17 giocatori e 14, assieme alle famiglie, decisero di trascorrere il Capodanno nello stesso posto dove eravamo andati in ritiro durante l’estate. Fu allora che ai miei ragazzi dissi: “Quest’anno possiamo raggiungere traguardi grandissimi”. Ai giornalisti però non dicevamo nulla, c’era un patto. Dovevamo mantenere un profilo basso».
Nel calcio di oggi è possibile costruire un gruppo così affiatato?
«Penso di sì: alla fine io non è che abbia dovuto fare granché. I giocatori si conoscevano già, andavano d’accordo, si facevano un sacco di scherzi, ma quando c’era da tornare seri bastava uno sguardo per capirci. La mia fortuna fu anche quella di avere soltanto due stranieri in squadra, Elkjaer e Briegel, grandi giocatori e bravissime persone, capaci di integrarsi subito. Guardi, per capire che tipo di rapporto avevo con loro le faccio solo un esempio».
Prego.
«Briegel lo prendemmo come terzino sinistro: nella Germania e in Bundesliga giocava lì. All’ultimo momento Marangon, che ricopriva lo stesso ruolo e per noi era molto importante, decise di restare a Verona e dunque Briegel non sapevo più dove metterlo. Alla vigilia della prima di campionato, contro il Napoli, gli chiesi: “Hans, vuoi giocare mediano?”. E lui: “Mister, essere mio sogno”. Volli essere sicuro: “Anche se devi marcare Maradona?”. “Mister, se tu volere io marcare Maradona, allora io marcare Maradona”. Vincemmo 3 a 1 e Briegel fece pure gol».
Coppa dei Campioni. Juve-Verona 2-0. In campo e nel tunnel successe di tutto. Lei, a due poliziotti intervenuti per sedare gli animi, disse: «Se cercate i ladri sono nell’altro spogliatoio».
«Si giocò a porte chiuse, colpa dei fatti dell’Heysel. Subimmo ingiustizie tremende. L’arbitro Wurz ne combinò di tutti i colori. Oggi direi le stesse identiche cose».
Rimaniamo in tema di «ingiustizie», anche se di tenore ben diverso. Cosa pensa del caso Catania?
«Ovviamente mi dispiace molto, ma purtroppo certe cose succedevano anche ai miei tempi, credo».
Lei si è ritirato presto, a 59 anni. Si è mai pentito?
«No. Fui esonerato alla mia prima panchina, e all’ultima, quando ero all’Inter. Si era chiuso un ciclo della mia vita. Avevo allenato in altre grandi città, come Genova e Cesena. A quel punto decisi di dedicarmi interamente alla famiglia».
A proposito di Inter. Dopo trent’anni il presidente Pellegrini si è detto pentito di averla esonerata.
«Mi ha definito “una persona per bene e un grande allenatore”, il migliore che lui abbia avuto, insieme a Trapattoni. Mi fa piacere anche perché, con me, l’Inter arrivò seconda. La stagione successiva ci furono diverse incomprensioni e fui licenziato».
Secondo lei oggi chi è l’allenatore più bravo?
«Non mi permetto di giudicare. Le posso dire chi è stato uno dei miei modelli, se vuole”.
Certo.
«Pippo Marchioro: ho giocato con lui e sono stato suo vice al Como».
Lei viene da una famiglia umile. È cresciuto nella periferia milanese. Cosa ha fatto coi primi soldi guadagnati col calcio?
«A dire il vero non lo ricordo. Però ricordo molto bene quando il Milan, nel periodo in cui giocavo nelle giovanili rossonere, mi chiamò in sede per comunicarmi che sarei dovuto partire per il ritiro con la prima squadra. Risposi che non potevo, perché dovevo lavorare: facevo il garzone in un’azienda di sanitari. Il Milan, per convincermi, mi offrì quasi il doppio dello stipendio. Tornai a casa pedalando a perdifiato e dissi ai miei genitori che mi avrebbero pagato per giocare a calcio. Si realizzò un sogno. Fu una soddisfazione indescrivibile».