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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

Donald Trump, il magnate capace di farsi nemico, in un colpo solo, un quarto della popolazione mondiale. Il candidato alla presidenza Usa se la prende con Obama che usurpa la Casa Bianca perché nato in Africa (lo chiama cheerleader), con il Messico («Una manica di stupratori e spacciatori»), con la Cina («Ci vuole uccidere commercialmente»). E così Miss Messico non partecipa a Miss Universo, la Colombia si ritira da paese organizzatore della kermesse, la Univision cancella Miss Usa e la Nbc licenzia in tronco il suo The Apprentice. Ma lui se ne frega e forte dei sondaggi che lo indicano come l’avversario più duro per Jeb Bush, fa causa alle reti tv («troppo stupide per capire la gravità dell’immigrazione illegale»)

«Sono criminali, una manica di stupratori e spacciatori, portano solo problemi». Non c’era andato leggero Donald Trump quando il 16 giugno dalla sua Tower a Manhattan aveva annunciato di voler diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Sui messicani, che dal confine sud entrano (sempre meno) illegalmente negli States, aveva sparato ad alzo zero («con qualche messicano faccio anche affari, ma quelli sono bad, really bad»), li aveva bollati come «assassini e violentatori», gente «che entra qui da noi» per commettere reati, inviata in massa da un governo che pensa «che noi americani siamo stupidi».
Parole in sintonia con il personaggio che lui stesso si è creato nel corso di anni di successi nell’edilizia e nella finanza, quello del miliardario “supercafone”, patriota da West selvaggio, machista e divo da rotocalco, completato dal trionfo televisivo di The Apprentice, il reality in cui assume e licenzia senza pietà. Un rischio calcolato (l’uomo ha un grandissimo ego ma non è certo uno sprovveduto), pensieri buttati lì – «senza peli sulla lingua, ha tenuto a precisare» – in un discorso di “investitura” in cui ha menato fendenti contro Obama (Trump è il capofila dei complottardi birther, quelli che dicono che il presidente usurpa la Casa Bianca perché nato in Africa e lo chiama spregiativamente cheerleader), ma anche contro Jeb Bush («chi può mai pensare di votarlo?»), contro il Messico («costruirò un grande muro nella frontiera meridionale e farò in modo che lo paghino loro»), contro gli altri paesi dell’America Latina e contro la Cina («ci vuole uccidere commercialmente»). Facendosi nemico, in un colpo solo, un quarto della popolazione mondiale.
Forse non aveva previsto bene le reazioni. Che non si sono limitate alle generiche condanne verbali del governo messicano («non conosce la storia degli immigranti negli Usa»), dei vip latinos di ogni genere (attori, sportivi, cantanti, politici), o alle petizioni online (200mila firme in pochi giorni), ma hanno colpito Trump lì dove gli fa più male: nel portafoglio. Ecco dunque che nel giro di 48 ore Miss Messico annuncia che non parteciperà a Miss Universo (una produzione tv targata Trump e venduta in tutto il mondo), né lo farà Televisa, mentre la Colombia si ritira da paese organizzatore della kermesse per la più bella del pianeta, la Univision (seguitissima tv americana che trasmette in castigliano), cancella la diretta di Miss Universo e anche di Miss Usa (altra produzione Trump). Non solo: in tutto questo la Nbc completa l’opera, licenziando in tronco il miliardario-candidato da The Apprentice, dopo undici anni di stretta collaborazione.
Alla lista dei boicottaggi si sono aggiunte ieri i grandi magazzini Macy’s (che hanno eliminato dai loro negozi tutte le collezioni da uomo legate al marchio Trump) e Ora Tv, che appartiene al magnate delle telecomunicazioni Carlos Slim: il quale non solo è uno degli uomini più ricchi al mondo (detiene anche una consistente quota del New York Times ), ma soprattutto aveva con le società di Trump tutta una serie di progetti comuni.
Lui prosegue dritto per la sua strada, senza ripensamenti, e su Twitter ripete le solite accuse («il Messico non è nostro amico»). Che i messicani non gli piacessero troppo lo aveva del resto detto in tutte le salse e ben prima di candidarsi. Come in occasione degli Academy Awards, quando si era scagliato contro Hollywood rea di aver premiato un regista (Alejandro Iñárritu per Birdman ) nato per l’appunto a sud del Rio Grande: «Questo tipo qui si sta beccando tutti i premi, è una cosa buona? proprio no! La serata degli Oscar è diventata la serata del Messico».
Adesso, forse confortato dai sondaggi pre-elettorali che lo vedono in ascesa e lo indicano come l’avversario (al momento) più duro per Jeb Bush nell’affollato campo repubblicano – 19% per il fratello dell’ex presidente, 12 per Trump – il magnate ha deciso di andare al contrattacco avviando una causa contro la Univision e la Nbc («troppo debole e stupida per capire la gravità dell’immigrazione illegale») e chiedendo un maxi-risarcimento di 500 milioni di dollari per «violazione di contratto» se il grande network non trasmetterà Miss Usa il prossimo 12 luglio.