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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

«Se io fossi ministro in Grecia non taglierei le pensioni, bloccherei solo i pensionamenti anticipati. Le riforme ci sono già ma hanno bisogno di tempo». Parola di Elsa Fornero, incubo dei pensionati (ed esodati) italiani

«Se io fossi ministro “tecnico” in Grecia? Non imporrei altre restrizioni al sistema pensionistico, ma cercherei di portare subito a regime le riforme fatte e di impedire pensionamenti anticipati».
Da ministro del Lavoro nel governo Monti Elsa Fornero varò un’epocale riforma della previdenza italiana. Ma di fronte al problema principale che affligge la Grecia – un sistema pensionistico che pesa per oltre il 17% del Pil e un’età media di chi va a riposo ben inferiore alla media europea – sceglie la strada della prudenza.
Perché, professoressa Fornero?
«In Grecia, visto anche l’altissimo tasso di disoccupazione, per molte famiglie le pensioni sono probabilmente l’unica fonte di reddito. E alcune riforme sono già state fatte. Dunque non penso che serva riformare ancora tagliando le pensioni, ma per l’appunto si devono ridurre quelle scappatoie che aumentano la spesa, come le pensioni anticipate concesse con generosità o le pensioni di invalidità date in modo relativamente facile».
Con l’ultima riforma, del 2012, il governo greco ha portato nel 2013 l’età pensionabile a 67 anni. Eppure secondo molte rilevazioni si continua ad andare a riposo prima che nel resto d’Europa.
«Le riforme hanno bisogno di tempo per entrare davvero in funzione: si cambiano le regole, ma anche se adesso le persone vanno in pensione a 65 o 67 anni, ci si porta dietro una pesante eredità del passato, di persone che sono andate in pensione magari a cinquant’anni e che resteranno pensionati di cinquantadue, cinquantatré, cinquantaquattro anni e così via...».
Ma come è possibile – lo dice il Fmi – che la pensione media greca sia uguale a quella tedesca, con il piccolo particolare che il Pil di Atene è la metà di quello di Berlino? Per non parlare del calcolo che è stato fatto sui 580 «lavori usuranti», che vanno dai parrucchieri agli annunciatori radiofonici...
«Certo, il sistema è stato generoso. Con il meccanismo della ripartizione, in cui le pensioni venivano pagate usando i contributi versati in quel momento da altri lavoratori, si potevano dare a tutti trattamenti che non avevano pagato e promettere ad altri lo stesso.È ovvio che questo aiuta la popolarità del governo in carica. E fino a quando l’economia va e non si manifestano i disequilibri che sono ad esempio frutto dell’invecchiamento della popolazione, tutto sembra sostenibile. Il fattore demografico, che in Grecia è molto forte, perché l’aspettativa di vita è più alta della media europea, e la crisi economica hanno dimostrato che non è così».
E dunque eccoci al caso greco, con le pensioni che pesano oltre il 17% del Pil...
«Se è per questo anche in Italia siamo al 15% del Pil. Ma il sistema greco è il classico esempio in cui l’insostenibilità dei conti deriva da una parte da promesse che non sono parametrate ai fondamentali dell’economia – ossia in sostanza alla crescita del Pil – e dall’altra da un sistema disegnato in modo da privilegiare chi oggi va in pensione e a penalizzare chi conta di andarci in futuro, ossia i giovani».
Torniamo all’inizio. Se non bisogna tagliare le pensioni, che cosa resta da fare?
«Oltre a evitare i prepensionamenti bisogna ridurre i privilegi, perché in Grecia li hanno ridotti davvero poco. Sono ancora molto orientati sulle pensioni legate al sistema retributivo, che finiscono per essere più generose per i redditi più alti, cosa che ovviamente non ha motivo di essere. Spero solo che lì non ci sia una Corte Costituzionale che interpreti in modo sorprendente i diritti acquisiti, come è accaduto in Italia, e si possa essere severi con chi ha una pensione alta senza neppure averla pagata con i suoi contributi»
Allora le do una cattiva notizia: anche in Grecia il Consiglio di Stato ha deciso che i tagli alle pensioni decisi nel 2012 sono incostituzionali e vanno aboliti: 1,5 miliardi in più di spesa per lo Stato.
«Significa che anche là i giudici interpretano i diritti in maniera statica e non si rendono conto di quanto difendere oggi i diritti acquisiti di alcuni significhi andare a scapito di altre generazioni, più giovani, che non hanno partecipato a quel gioco. Del resto, se non sbaglio, la Grecia ha in Costituzione anche l’esenzione fiscale per gli armatori. Forse si può dire che quella Costituzione può esser rivista. Quando un Paese chiede ancora una volta l’aiuto della comunità internazionale – senza discutere le colpe degli uni o degli altri, perché quando si arriva a questo punto le colpe sono condivise – non è possibile che alcuni rimangano indenni in nome dei diritti acquisiti».