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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

L’esodo biblico dei profughi, in aumento dell’83%. I dati choc dell’Onu. Negli ultimi sei mesi 137mila arrivi sulle coste di Italia, Grecia, Malta e Spagna. Solo ad aprile ci sono stati 1.308 morti

Un esodo biblico, una «crisi di proporzioni storiche». Non era sfuggito a nessuno che quella dei migranti verso l’Europa non fosse un’emergenza come tutte le altre. Eppure i dati del rapporto illustrato ieri a Ginevra dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) rappresentano l’inizio di una nuova fase, tutt’altro che facile da affrontare per la mole di rifugiati e di problemi a essi connessi, del fenomeno migratorio. Forse uno spartiacque che promette di segnare stabilmente il futuro dell’Europa, e che va ben oltre quello che da Bruxelles si vuol vedere e capire. Salvo per quel che riguarda gli inevitabili riflessi nell’affermazione politica dei tanti movimenti populistici o para-razzisti in giro per i Ventotto paesi dell’Unione.
Siamo giunti ormai a una crescita dell’83 per cento di arrivi lungo l’asse mediterraneo Grecia-Malta-Italia-Spagna. Il dato può costituire uno choc, anche se non inatteso, considerati i tanti fattori d’instabilità che vi concorrono: dall’avanzata dell’Isis nello scacchiere mediorientale all’anarchia in cui versa la Libia, alle perduranti guerriglie etnico-religiose in Corno d’Africa e Sudan, alle disastrose situazioni economiche (e demografiche) della Nigeria. Non ci si può allora meravigliare se nei primi sei mesi dell’anno una massa di 137mila persone è arrivata a bussare alle porte della Ue. Nell’intero 2014, precedente record, solo in Italia erano sbarcati 170mila migranti, dei quali 67mila 500 nel primo semestre (nel secondo, i mesi estivi raddoppiano o triplicano le possibilità di attraversare il Mediterraneo).
Nell’epocale dramma dei profughi – fatto di fame, guerra, carestie, persecuzioni politiche, razziali o religiose – si possono intravvedere linee di tendenza assai rilevanti per le scelte future. La rotta del Mediterraneo orientale, dalla Turchia verso la Grecia, per esempio, ha ormai superato quella del Mediterraneo centrale, verso l’Italia; gran parte dei profughi che giungono sulle coste dell’Egeo vengono dalla Siria (un terzo del totale dei profughi sono siriani, i più numerosi prima di afghani ed eritrei). In sei mesi sono arrivati in Grecia 68mila extracomunitari, già molti di più dei 43mila 500 dell’intero anno scorso. La profonda crisi economica ellenica, nonché un sistema d’accoglienza limitato a meno di duemila posti, obbligano la stragrande maggioranza dei migranti a continuare il viaggio attraverso la Macedonia e la Serbia, per poi entrare nell’Unione europea attraverso l’Ungheria. Ogni giorno sono mediamente mille le persone che entrano nell’ex repubblica jugoslavia macedone subendo, anche in questo tragitto, frequenti casi di abuso e violenza da trafficanti e reti di criminali senza scrupoli. È la nuova «rotta» che non ha mancato di preoccupare soprattutto l’Ungheria del discutibile premier Orban, che non a caso proprio ieri, in un vertice con il premier serbo Vucic, è tornato a definire «necessaria» la costruzione di una barriera «per non restare nella tenaglia» degli arrivi da Sud e dei respingimenti da Germania e Austria. Nulla di personale contro la Serbia, ha voluto precisare Orban. Nel frattempo l’attivissimo governo ungherese siglava un memorandum d’intesa a tre, anche con l’Austria, per rafforzare i controlli e contenere gli arrivi. Ungheria, Serbia e Austria hanno chiesto anche più soldi e più attenzione della Ue al flusso balcanico, in crescita rispetto a quello mediterraneo.
Su quest’altro fronte va sottolineato invece come le tragedie dei barconi naufragati davanti alle coste di Lampedusa abbiano distolto molti migranti a seguire questa via d’acqua. Il numero di morti è stato devastante nel mese d’aprile: 1.308 (erano stati 42 nel corrispondente periodo 2014). Anche tra gennaio e marzo ’15 si è passati dai 15 morti dell’anno precedente a 479, mentre tra maggio e giugno s’è registrato un miglioramento (68 e 12, contro i 226 e 305 del 2014). «Un calo incoraggiante – secondo l’Alto commissario per i rifugiati, Antonio Guterres -, segno che con la giusta politica, sostenuta da una risposta operativa efficace, è possibile salvare più vite in mare». Inutile aggiungere che si tratta di (sia pur meritori) tappi, in una diga che sta per esplodere. Ma le cui crepe i funzionari di Bruxelles e tanti governanti dell’Unione stentano a scorgere.