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 2015  giugno 30 Martedì calendario

Hisham Barakat, il magistrato egiziano simbolo della lotta alla Fratellanza musulmana, è stato ammazzato al Cairo. Lo hanno fatto saltare in aria, facendo esplodere un’auto imbottita d’esplosivo, lungo il tragitto che era solito compiere per andare al lavoro. È l’attacco più grave a uno dei simboli del regime, da quando Al Sissi ha deposto Mohammed Morsi in questi stessi giorni del 2013

Il bersaglio conta quanto il luogo. Hisham Barakat, magistrato egiziano, è stato ammazzato a pochi metri da un’accademia militare e a qualche chilometro dalla residenza di Abdel Fattah al Sissi, il generale diventato presidente. Il procuratore più potente del Paese stava seguendo il solito percorso per andare al lavoro, un’auto imbottita d’esplosivo è saltata al passaggio del convoglio nel quartiere residenziale di Heliopolis, le guardie del corpo e i passanti sono rimasti feriti, Barakat è stato tirato fuori insanguinato dalle lamiere, è morto poco dopo.
È l’attacco più grave a uno dei simboli del regime, da quando Sissi ha deposto Mohammed Morsi in questi stessi giorni del 2013. Barakat era stato incaricato di perseguire e stroncare gli islamisti, di portare in tribunale i Fratelli musulmani: l’opposizione lo accusava di cedere alle pressioni del governo, di forzare le accuse per le richieste di condanne a morte in massa. Nominato il 10 luglio del 2013, una settimana dopo la deposizione di Morsi da capo dello Stato, il suo primo atto era stato il blocco dei conti bancari e delle risorse finanziarie di 14 leader dei Fratelli musulmani. Da allora – fino a ieri – non si era più fermato nella sua lotta giudiziaria.
Altri magistrati promettono di continuare: «Il terrorismo non ci fermerà», dichiara Ashraf Abdelhady, all’uscita dell’ospedale dov’era stato portato d’urgenza Barakat. Il presidente ha proclamato un giorno di lutto nazionale per «un esempio di patriottismo da seguire».
Oggi è l’anniversario delle proteste contro Morsi che hanno portato alla sua caduta due anni fa, quello che la Fratellanza considera un colpo di Stato. Il governo egiziano teme nuovi attacchi, gli oppositori (anche i capi della rivolta contro Hosni Mubarak, i movimenti laici) temono nuove operazioni contro il dissenso, arresti e carcerazioni preventive.
Sissi sta già affrontando i raid degli estremisti nel Sinai. Qui i fondamentalisti hanno proclamato l’alleanza con lo Stato Islamico, sventolano le bandiere nere, filmano le decapitazioni di quelli che considerato traditori o collaboratori del Cairo. Un video diffuso su Internet prima dell’attentato incitava a colpire proprio i giudici: uomini con il volto mascherato vengono ripresi mentre sparano a una jeep che sta trasportando magistrati nella penisola, tre di loro sono stati uccisi. È stato girato il 16 maggio, quando Morsi ha ricevuto la sua prima condanna a morte. Quello che gli storici egiziani chiamano «lo scatolone di sabbia» continua a eruttare pietre e violenza. Sessantamila chilometri quadrati che il premier israeliano Benjamin Netanyahu – il Sinai sta al suo confine sud – considera «far west selvaggio».
Sissi non è riuscito a domare le fazioni estremiste, spesso appoggiate dai clan beduini che vogliono poter proseguire nei loro traffici di droga, armi, esseri umani.