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 2015  giugno 30 Martedì calendario

Dove nasce la jihad. Viaggio a Kairouan, la città sacra delle moschee e roccaforte dei salafiti. A un’ora di macchina da Sousse e i suoi resort di lusso, la Tunisia cambia completamente volto

La moderna Sousse, i suoi resort di lusso, i ristoranti, le luci che non si spengono mai, qui a Kairouan sembrano appartenere a un mondo lontano. Eppure sono sufficienti 50 minuti di auto attraverso una strada che taglia una piana arida e assolata, orlata da lunghe macchie di fichi d’india, per arrivare nella città più sacra della Tunisia, antica capitale del governatorato dell’Ifr qiya, durante il periodo califfale islamico.
È Ramadan, la medina è quasi deserta, la temperatura tocca i 40°. Nel silenzio il minareto della grande moschea di Kairouan, la più antica del Nord Africa, si eleva sui tetti delle case piatte. È in questa città, considerata una roccaforte salafita, che ci riceve Tayib Ghozzzy, l’imam della storica moschea. In principio l’anziano imam preferisce ricordare i tempi antichi, quando da questa città, «partì la conquista del Sud Africa, dell’Algeria per arrivare fino in Spagna. I salafiti non esistono solo a Kairouan – sottolinea –. La gente è convinta che questa città sia una roccaforte salafita per il suo ruolo e importanza storica nella storia dell’Islam. Ma è un centro di cultura e di formazione Il salafismo esiste in tutto il modo. In Tunisia ogni città ha i suoi salafiti».
Anche in Tunisia questa versione particolarmente rigida dell’Islam non è una novità, un fenomeno recente. Esisteva già tempo, ma viveva una sorta di perenne clandestinità. L’ex presidente Ben Ali lo aveva stroncato con il pugno di ferro, adottando misure durissime anche nei confronti di movimenti islamici moderati, come Ennahda, costola dei Fratelli musulmani dichiarata illegale. Nei 22 anni di regime migliaia di sostenitori furono arrestati e detenuti a lungo nelle carceri senza processo. Dopo la rivoluzione, Ennahda è uscita allo scoperto, trionfando nelle elezioni politiche del 2011.
Ma anche l’Islam radicale ha trovato un habitat congeniale nelle periferie delle città, dove la disoccupazione, soprattutto tra i giovani, ha toccato livelli intollerabili. Dove la frustrazione li ha spinti ad abbracciare le promesse dell’Islam radicale. Sono così venuti allo scoperto gruppi radicali, come Ansar al-Sharia, organizzazione salafita-jihadista di matrice qaedista, che ha approfittato del vuoto di potere post-rivoluzione per la sua organizzata opera di proselitismo. Durata poco, in verità. Perché dopo nel 2013, dopo le violente manifestazioni all’università di Tunisi e l’assassinio dei leader di due partiti di sinistra, il movimento è stato dichiarato organizzazione terroristica. La repressione che ne è seguita è stata particolarmente dura
«Ricordo – continua l’imam – che dopo la rivoluzione le autorità hanno perduto il controllo del territorio, c’è stato un vuoto di potere. I jihadisti sono entrati nelle moschee hanno cambiato i lucchetti, sostituendo gli imam designati dal Governo, trasformando i nostri luoghi di preghiera in centri dove sottoporre al lavaggio del cervello giovani e bambini. Pensate in Tunisia più di 500 moschee erano sfuggite al controllo dello Stato. Ma ora sono pochissime».
Kairouan è anche la città da cui proveniva il giovane terrorista che venerdì scorso ha ucciso 32 persone, tra cui molti turisti sulla spiaggia di Kantaoi. «Un lupo solitario che nessuno conosceva in moschea»”, ribatte l’Imam.
In soli quattro anni la Tunisia, considerata uno dei Paesi più laici del mondo islamico, è divenuta un serbatoio di aspiranti jhidadisti, il Paese con più persone partite a combattere in Siria e in Iraq nelle file dell’Isis, quasi tremila tunisini.
Tornati a Sousse si scopre che la città più turistica del Paese, con le sue luci e i suoi ristoranti, ha anche un altro volto. Ci sono anche quartieri dove i salafiti hanno fatto opera di proselitismo, raccogliendo molti adepti. Anche nella moschea di Hidaya, dove negli ultimi anni le incursioni delle forze di polizia, gli arresti, le perquisizioni alla ricerca di armi sono state frequenti. È in questo grande quartiere che incontriamo una delle persone più introdotte e influenti della comunità salafita locale. Lo chiamano Aghid. La barba islamica, la pelle bianca, questo 42enne rispettato dai salafiti della città non nasconde la ideologia estrema.
«Dopo la caduta di Ben Ali – spiega – i salafiti sono potuti uscire allo scoperto. Ed hanno raccolto molti adepti. Oggi però la comunità salafita tunisina è più frammentata e meno organizzata. Conseguenza diretta del giro di vite delle forze governative». Poi continua: «Vi assicuro che sono partiti per la Siria e l’Iraq ben più 3mila tunisini. Io ritengono siano stati non meno di 6mila, compresi quelli, e sono in numero crescente, che si sono uniti alla guerriglia dello Stato islamico in Libia. Dalla fine del 2014 il flusso verso la Siria, dove l’80% dei jihadisti tunisini finisce nelle file dell’Isis, si sta riducendo per i maggiori controlli alle frontiere». Aghid non nasconde la sua ammirazione per lo Stato islamico. «Hizb al-Tahrir (il partito politico salafita tunisino) condivide il nostro obiettivo: instaurare un Califfato islamico dove viene applicata la Sharia nella sua versione più pura. Prima in Tunisia, e poi in tutto il mondo musulmano. Entrando in politica, però Hizb al-Tahrir ha scelto un percorso diverso. Ma un altra parte della comunità salafita prevede una lotta armata. Inclusi gli attentati».