La Stampa, 30 giugno 2015
Angela Merkel tra razionalità e irrazionalità e la logica del prigioniero di Varoufakis. Finora sembra che la Cancelliera abbia portato allo stremo le situazioni prima di prendere una delle sue decisioni cruciali. Ma adesso il suo potrebbe rivelarsi un gioco pericoloso
«Per fortuna c’è la Merkel». Siamo arrivati a questo punto? In realtà stiamo assistendo impotenti al trionfo della irrazionalità. La realtà è sfuggita di mano. Non funzionano né i numeri degli speculatori finanziari né le analisi degli economisti. Quelli che con i numeri e le statistiche credono di capire e di orientare il mondo degli uomini e delle donne in carne e ossa.
Ma imperdonabile è stata la irresponsabilità dei politici che, fidandosi eccessivamente della «razionalità» degli operatori finanziari, si sono messi fuori gioco da soli. Adesso c’è persino qualcuno che stigmatizza la decisione del governo greco di rivolgersi con un referendum al popolo degli elettori.
Tra questi non c’è Angela Merkel. Ritengo anzi che in cuor suo abbia desiderato da tempo questa soluzione. La cancelliera tedesca è la prudenza fatta persona. O è la irresolutezza, fatta persona? In realtà nel recente passato, ha preso ad un certo punto (talvolta all’improvviso) decisioni cruciali. È come se lasciasse arrivare la situazione all’estremo, prima di intervenire. Finora è andata bene. Ma potrebbe essere un gioco pericoloso.
Il problema greco è tra i più difficili della carriera della cancelliera; secondo soltanto a quello ancora più impegnativo con la Russia di Putin per le dimensioni geopolitiche che esso implica (ma mi chiedo se la cancelliera non tema un possibile nesso tra i due problemi...).
Nel suo modo di esprimersi in pubblico Angela Merkel non è quasi mai enfatica. Ma talvolta trova frasi sintetiche efficaci che lasciano il segno e valgono oltre il caso specifico. La tesi principale è quella ripetuta anche ieri: «Se fallisce l’euro, fallisce l’Europa». L’ha coniata nel febbraio 2012 in un momento particolarmente duro, e ha avuto l’effetto di far rientrare quasi d’incanto tutte le tentazioni e i tentennamenti circa il possibile disfacimento della moneta unica. Pronunciata oggi, ha un significato diverso, ma non meno drammatico: infatti l’uscita della Grecia dall’euro di per sé non è il fallimento dell’euro, ma segnala il fallimento dell’Europa di essere una comunità basata sulla «solidarietà e responsabilità» quale dice di essere.
È inutile adesso ricominciare con la litania delle accuse reciproche tra greci e membri delle istituzioni europee (o di altri istituti internazionali) su «chi è il vero colpevole». Per il momento rimane il fatto della rottura, sia pure accompagnata dagli scongiuri e dagli inviti a ricominciare a trattare.
Se in prima fila tra chi auspica che il dialogo non si interrompa, c’è la cancelliera Merkel non dovrebbero essere soltanto belle parole. Anche se pesa l’ovvia precisazione che occorre attendere l’esito del referendum. Ma la cancelliera si rivolge soltanto agli interlocutori greci? Oppure pensa ad un’operazione di convincimento al suo interno, anche verso l’opinione pubblica che, a quanto sembra, è su posizioni rigide?
Più sopra ho parlato di gioco pericoloso. Il concetto di gioco qui non vale come semplice metafora, ma come indicatore di una situazione che concentra in sé elementi di razionalità e di irrazionalità. Nel senso che contiene la possibilità di calcolare le conseguenze delle proprie azioni e di prevedere il comportamento degli altri. Oppure di tenere fermo sulle proprie posizioni, costi quel che costi. Non si tratta di osservazioni accademiche. Settimane fa il professor Yanis Varoufakis, ministro greco dell’Economia, nei momenti di successo di cui godeva, si lasciava lodare come grande esperto della teoria dei giochi. In effetti ha giocato e ha perso perché – suppongo – non aveva come obiettivo il risultato di oggi. I casi allora sono due: o non è riuscito ad imporre il suo gioco oppure, trovandosi di fatto preso in un «dilemma del prigioniero», ha fatto la mossa «non collaborativa», costringendo l’avversario alla stessa mossa. Il risultato è il doppio svantaggio per entrambi i giocatori. Questa è la logica del gioco del prigioniero.
L’alternativa è mirare consapevolmente a buttare all’aria tutto il banco. Ovvero cambiare gioco riuscendo ad imporlo all’avversario. Il referendum popolare per il rifiuto del compromesso offerto dalla Commissione europea è il tentativo di cambiare gioco, introducendo una risorsa che spiazza l’avversario – la legittimità della sovranità popolare.
A meno che proprio questo gioco non si rivolti contro chi l’ha proposto, contro il governo Tsipras. È questo l’esito che in cuor suo si augura la cancelliera Merkel. E allora forse farà anche qualche consistente sconto in più ai greci che vogliono rimanere cittadini europei.