il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2015
Renzi e il sequestro dei decreti fiscali. Storia di una delega, di 15 mesi e di testi che, all’ultimo giorno utile, Palazzo Chigi ha espropriato al Tesoro: «Da riscrivere»
“Sono storie, fantasie, non c’è nessuna tensione”, rispondeva stizzito ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a chi chiedeva di presunte frizioni fra il Tesoro e Palazzo Chigi alla base della decisione di rinviare l’esame dei decreti della delega fiscale al prossimo Consiglio dei ministri. Attriti rivelati da alcuni giornali, tra cui il Fatto, che riportavano lo stallo andato in scena martedì sera, che ha provocato diversi malumori all’interno del ministero guidato da Padoan. E non solo all’indirizzo di Palazzo Chigi.
Cos’è successo? A prima mattina tutto era quasi pronto – fatta eccezione per il decreto che riforma il catasto, su cui da giorni circolavano stime da stangata fiscale – poi prima dell’arrivo dei decreti nel pre-consiglio (dove si decidono i testi che arrivano alla riunione dei ministri) il colpo di mano, con lo staff del premier – guidato dalla fedelissima Antonella Manzione, capo del legislativo di Palazzo Chigi – che prende in mano i dossier. “Un sequestro”, lo definisce chi ne ha curato l’iter. Seguito da un blackout delle comunicazioni: alle sette, nessuno riusciva a spiegarsi il perché di una scelta così repentina.
Da Palazzo Chigi, in contemporanea, filtravano dubbi su cifre e, soprattutto, dettagli tecnici che preoccupavano l’ufficio legislativo. “Serviva una limatura”, ha scherzato ieri il premier. Dettaglio curioso per dei testi attesi ormai da 15 mesi, visti e rivisti per evitare nuovi pasticci, come quella norma “salva-Berlusconi” infilata nel decreto fiscale di natale da una “manina” a Palazzo Chigi (e rivelata dal Fatto) che ha messo non poco in imbarazzo il governo. Memore di tutto, Renzi ha scelto di prendersi ancora due giorni di tempo.
“Quello che è successo non è un caso: è la conseguenza dello scetticismo su come il Mef gestisce le questioni che riguardano il fisco”, spiega una fonte qualificata dal Tesoro, dove serpeggia un certo malumore. Testi blindati, tenuti strettamente segreti e concentrati nelle mani di pochissimi tecnici. Uno su tutti, quello che ha in mano tutti i dossier che contano: l’esperto Vieri Ceriani, una vita in Bankitalia, poi sottosegretario con Mario Monti e ora consulente di Pier Carlo Padoan in materia fiscale.
Non è un caso che l’ultimo bizantinismo partorito al Tesoro, quello che di fatto azzera una bella fetta delle detrazioni fiscali, trasformandole una gentile concessione del governo di anno in anno nelle leggi di stabilità è finito al centro dei detrattori del supertecnico. Tanto più che i pochi esperti chiamati a lavorare sul tema negano di aver mai neanche pensato a una modifica del genere.
D’altronde Ceriani è un esperto in materia. Ai tempi di Tremonti venne nominato a capo della commissione che doveva rivedere la vasta compagine delle centinaia di detrazioni fiscali: ne contò 720, per un totale di 230 miliardi. Un piatto ricco, che in un ministero sempre più sensibile al rigore dei conti (peraltro parecchio traballanti) chiesto dall’Ue è sembrata una manna dal cielo.