Libero, 25 giugno 2015
L’Isis ha sottovalutato la nostra occidentalissima capacità di fare il callo a tutto. Alzi la mano chi ancora rimane sconvolto davanti ai video del Califfato con prigionieri annegati nelle gabbie, colpiti col bazooka, decapitati, evirati, bruciati vivi, bambini che sparano in testa ad adulti, ragazzini addestrati a combattimenti alla morte ecc. L’effetto, ormai, è quello fame-nel-mondo, coi bambini gonfi e pieni di mosche: un sospiro e via
Non so quale nome dare – disagio?, imbarazzo? – a quell’inconfessabile letargia che ormai ci accompagna nello sbirciare ogni filmato o fotografia delle efferatezze dell’Isis. I media, dapprima, ne centellinavano le immagini nel timore di farne propaganda e compartecipare a un gioco del terrore che mirava a spaventarci; ora, invece, pare quasi che i media dosino le immagini e le notizie in modica quantità, come per un minimo sindacale riservato a informazioni cui per dovere non possiamo sottrarci. Alzi la mano chi non ci ha fatto quasi l’abitudine, si fa per dire: a prigionieri annegati nelle gabbie, colpiti col bazooka, decapitati, evirati, bruciati vivi, seviziati in pubblico, a bambini che sparano in testa ad adulti, a ragazzini addestrati a combattimenti alla morte, ad altri ragazzini che spaccano mattoni con il cranio, a infanti torturati, insomma a un crescendo forzato e strategico – come i sequel di una serie splatter – che farebbe quasi ridere se ci fosse da ridere. L’effetto, ormai, è quello fame-nel-mondo, coi bambini gonfi e pieni di mosche: un sospiro e via, a leggersi i retroscena sulle dimissioni di Fassina o sulle cazzate di Fedez. Ai più parrà una questione ingenua, datata, genere signora mia: ma la verità è che l’Isis, per primo, ha sottovalutato la nostra occidentalissima capacità di fare il callo a tutto, perché tutto, da noi, dopo un po’, diventa uguale a tutto. Il califfato islamico – sappiamo – non è ancora alle porte di San Pietro. Di corsa alle pagine dello sport.