Corriere della Sera, 25 giugno 2015
Intervista a Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi: «Vediamo un potenziale davvero grande in Telecom Italia. In cassa abbiamo 10 miliardi di liquidità, che ci dà capacità di investire, agilità e velocità di esecuzione. Non solo telefoni, un futuro nella banda ultralarga»
«Il piano di Vivendi? Faremo tutto il possibile per diventare un player importante sul mercato italiano. In cassa abbiamo 10 miliardi di liquidità, che ci dà capacità di investire, agilità e velocità di esecuzione. Abbiamo una mentalità aperta, siamo pragmatici, e con un grande appetito per un mercato che offre grandi opportunità», afferma Arnaud de Puyfontaine, 51 anni, Ceo di Vivendi da 12 mesi esatti, nel giorno in cui il gruppo francese ha ufficializzato di essere salito al 14,9% di Telecom Italia, investendo circa un miliardo. Una ragione in più per «venire regolarmente in Italia, un Paese che amo molto», afferma il top manager, che tutti gli anni, a luglio, festeggia l’anniversario di nozze a Positano, dove quest’anno per la prima volta lo accompagneranno anche i 4 figli.
L’Italia è un amore condiviso con Vincent Bolloré, che all’inizio dell’intervista irrompe nell’ufficio di de Puyfontaine, un’enorme stanza piena di finestre e quadri di arte moderna, al 6° piano di avenue de Friedland, con vista sull’Arco di trionfo, per ricordare che il 24 giugno, giusto un anno fa, è stato nominato presidente di Vivendi, di cui è primo azionista con il 14,5%. E per lanciare un segnale su Mediobanca, ormai la banca di riferimento del gruppo Bolloré. A dicembre scade il patto di sindacato di Piazzetta Cuccia, e il primo ottobre i soci sono chiamati a riunirsi. «Il patto di sindacato è stato utile in passato e deve restare in futuro, perché serve a proteggere un’istituzione che è molto di più di una la banca d’affari in Italia, fa molto per le aziende grandi e piccole e sostiene l’economia del Paese», spiega l’imprenditore bretone, socio con l’8%.
Monsieur de Puyfontaine, perché Vivendi ha venduto tutte le partecipazioni nelle tlc, da Sfr a Maroc Telecom e Gvt, per diventare una media company e ora cresce in Telecom Italia?
«Vivendi ha aumentato la sua quota per avere una posizione che rimpiazzi Telefonica in termini di peso, ma anche per evitare quei conflitti di interesse emersi in passato. In secondo luogo vediamo un potenziale davvero grande in Telecom Italia. Infine, crediamo che ci sia una grande opportunità per essere parte di un grande gruppo del Sud Europa. Italia e Francia sono molto simili, si dice che gli italiani sono dei francesi di buon umore».
Però questo contraddice la strategia, avviata da Vivendi nel 2012, di concentrarsi sui contenuti.
«Siamo nel 2015, il mondo cambia velocemente. Bisogna essere agili e preparati al futuro. Quando abbiamo venduto Gvt a Telefonica, rilevare la quota in Telecom Italia ci è sembrata una scelta opportunistica. E alcuni mesi fa abbiamo sviluppato una visione, condivisa con il presidente Bolloré. Salendo nel capitale diamo un segnale forte, per indicare la volontà di costruire una relazione solida e di lungo periodo con Telecom Italia, che ha grandi prospettive soprattutto in vista dello sviluppo della banda ultralarga. Un tempo Vivendi era fondamentalmente una holding di partecipazioni finanziarie, oggi stiamo costruendo un gruppo industriale. E siamo pronti a investire».
Vivendi resterà al 14,9% o crescerà ancora?
«Lo dirà il tempo. Mai dire mai».
Ha parlato di scelta opportunistica: sarebbe un’opportunità vendere Tim Brasil e poi girare Telecom Italia a Orange, visto che il numero uno, Stéphane Richard, ha citato la società italiana tra le possibili prede per costruire un gruppo paneuropeo? Oppure potreste cederla a Deutsche Telekom.
«L’interesse di Orange conferma che Telecom Italia ha un grande potenziale. Ma lo ripeto: siamo investitori industriali di lungo termine. Non ci muoviamo per conto terzi».
Alcuni rumor sostengono che Vivendi abbia trattato per rilevare il 39% di Sky in mano a Murdoch, ma il prezzo chiesto era troppo alto. È vero?
«Conosco personalmente Rupert Murdoch e suo figlio James. Sky è una grande società e non dirò mai che non ci interessa, ma non c’è stato un approccio formale. Telecom Italia ha firmato un accordo di distribuzione non esclusivo».
E quell’accordo potrebbe essere allargato a Mediaset Premium, di cui è socia anche Telefonica?
«Conosco Silvio Berlusconi e i figli Pier Silvio e Marina dai tempi in cui ero alla guida di Mondadori France. Sono un manager aperto e molto pragmatico, ma per ora la questione non è sul tavolo».
Se Vivendi punta sull’Europa del Sud, il Brasile potrebbe non essere più strategico. Chiederete a Telecom di vendere Tim Brasil?
«So che è una questione molto calda. Sono open e molto flessibile: l’importante è prendere una decisione che porti valore nel lungo periodo. Faremo un passo alla volta, cominciando da una discussione approfondita con il management e il board di Telecom Italia, ma dobbiamo essere pragmatici. Dal Brasile Vivendi ha deciso di uscire per costruire in Italia. Nell’affare con Telefonica, ci siamo impegnati a scendere sotto la soglia del 5% in Vivo, per poi vendere tutto nei prossimi 3 anni».
Come sono i rapporti con Marco Patuano e Giuseppe Recchi al vertice di Telecom?
«Conosco poco Patuano, ci siamo parlati l’estate scorsa in occasione della vendita di Gvt, alla quale Telecom era molto interessata. E ho incontrato solo una volta il presidente Recchi. Dobbiamo lavorare insieme. Si vedrà».
Quanti posti in consiglio chiederete, entrerà anche lei?
«Valuteremo quando ci saranno offerti».
Parteciperà al consiglio di Telecom del 26 giugno?
«No».
Sulla banda larga Telecom Italia ha deciso di non partecipare all’alleanza con Metroweb, Vodafone e Wind per costruire un network nazionale pubblico in fibra ottica, perché chiedeva di controllare il 51%. Con l’arrivo di Vivendi la posizione potrebbe cambiare?
«Viviamo in un mondo in cui c’è bisogno di capacità, copertura, penetrazione: l’infrastruttura è un tema fondamentale. Le dichiarazioni del primo ministro Renzi sono molto importanti. Affronterò il tema in Italia con gli addetti ai lavori, e ne discuterò a fondo con il management di Telecom. Ma è troppo presto per esprimere la mia posizione ufficiale, perché ogni Paese ha la sua logica. Posso dire però che Italia e Grecia sono gli unici due Paesi europei senza cable network».
Conosce Matteo Renzi?
«Non ancora, non vedo l’ora di farlo. Nelle prossime settimane andrò a Milano e a Roma, per incontrare non solo i vertici di Telecom, ma gli altri attori della politica e dell’industria».