La Gazzetta dello Sport, 24 giugno 2015
La terza vita di Andrea Pirlo. L’architetto del pallone ha detto sì al New York City. L’avventura americana inzierà il 1° luglio. Non c’è paese migliore per continuare il suo percorso. Pirlo raggiunge l’America quando in Europa la carriera è al tramonto e un ideale fuso orario lo aiuterà a restare al top, o quantomeno a provarci
Il padre di Frank Lampard è stato sbrigativo: «Se l’America è andata bene per Bobby Robson, può andar bene anche per te». Chissà se per decidere Andrea Pirlo ha pensato ai compagni di squadra Alessandro Nesta e Kakà, oppure all’ultimo arrivato nella Mls, Sebastian Giovinco. La scia di italiani o assimilati è lunga, ma Andrea Pirlo ha vinto più di tutti quelli che finora hanno scelto l’America. Mischia il suo sangue blu a una squadra che di blu per ora ha Frank Lampard, i proprietari ricchissimi e alle spalle la città più sognata del mondo. Per non parlare dello stadio, leggendario almeno quanto i grandi stadi del calcio.
Che paese, l’America del pallone. Si appassiona a ondate, si fa incantare dai vecchi campioni ma poi quando li vede all’opera non sempre è soddisfatta. David Beckham, il pioniere, ha portato anni fa nella Mls il suo fascino commerciale e le sue geometrie, ma non è stato capito granché. Agli americani piace il calcio bailado, dai talenti europei la gente si aspetta numeri spettacolari quanto le giocate dei giganti della Nba. La pulizia dei passaggi di Pirlo, la sua intelligenza calcistica però potrebbero sfondare a New York, che è diversa da tutto e ampiamente popolata da italoamericani che ancora lo ritengono un idolo. Perchè per loro Pirlo è il vincente che ha conquistato ogni trofeo con il Milan, lo ha lasciato e si è costruito un’altra vita da vincente nella Juve. È l’uomo che ha tenuto la rotta dell’Italia a Berlino nel 2006, e i campioni del mondo in Mls sono merce rarissima. Pirlo sarà una star a New York. Un protagonista, ruolo che alla Juve non avrebbe più potuto avere.
E Pirlo si era affezionato a quel ruolo. Nel Milan ancelottiano delle stelle era l’architetto indiscusso, non ancora l’uomo copertina. Non amava le interviste e spesso restava nell’ombra, anche se nello spogliatoio incideva parecchio. Aveva la faccia sempre seria anche se Gattuso raccontava i suoi scherzi. Aveva un senso dell’umorismo che riservava per gli amici e i compagni di squadra. Non aveva ancora la barba che lo ha reso un sex symbol riconosciuto dalle donne di tutto il globo. Prima di Brasile 2014, in uno dei classici sondaggi premondiale, Pirlo risultava essere uno dei preferiti dalle signore: da uno spot all’altro, da una rivista patinata all’altra, la metamorfosi si era compiuta. Il Pirlo del Milan, pur carico di onori e glorie, due Champions League comprese, era semplicemente un campione. Il Pirlo della Juve era diventato un personaggio. Il protagonista.
Non c’è paese migliore per continuare il percorso. Pirlo raggiunge l’America quando in Europa la carriera è al tramonto e un ideale fuso orario lo aiuterà a restare al top, o quantomeno a provarci. Sbarca a New York dopo settimane di indiscrezioni e indecisioni, perché la Nazionale resta il suo chiodo fisso, e ha già detto di voler andare avanti fino all’Europeo: chissà se il c.t. Conte si sveglierà la notte per seguire le sue partite o se lo dimenticherà lentamente, con l’oceano in mezzo. Pirlo intanto porta nel Nuovo Mondo le sue Champions League, i suoi scudetti, le Supercoppe e le standing ovation dei giorni migliori. Mette in valigia la notte di Madrid con l’applauso del Bernabeu, onore riservato a pochi, e la serata di Berlino chiusa con le lacrime di chi sa che il tempo sta scappando. Il playmaker che tutta Europa ha venerato per anni adesso diventa un giocatore americano. Potrà dimenticare i ritiri, le partite che si rincorrono durante la settimana, le pagelle dei giornalisti e le manie dei tifosi. Sarà ancora protagonista, ma non sarà più parte della magnifica ossessione che si chiama calcio. Probabilmente la sua faccia finirà in qualche superspot.