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 2015  giugno 24 Mercoledì calendario

Stefano Fassina lascia il Pd. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la richiesta di fiducia del governo sulla scuola. Intanto anche a Roma il clima politico resta teso. «Chiederemo un chiarimento a Orfini, non si capisce più qual è la linea del Pd su Roma», avverte Lorenza Bonaccorsi, pasionaria renziana della Capitale

Stefano Fassina lascia il Pd. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la richiesta di fiducia del governo sulla scuola. L’annuncio è arrivato ieri sera in un incontro, ripreso in un video, organizzato dal Pd a Capannelle. Intanto anche nella Capitale il clima resta teso. «Chiederemo un chiarimento a Orfini, non si capisce più qual è la linea del Pd su Roma», avverte Lorenza Bonaccorsi, pasionaria renziana della Capitale, dando voce al pressing serrato che i renziani e non solo continuano a esercitare perché Ignazio Marino lasci al più presto, spontaneamente, diciamo. E il chiarimento ce l’ha lei direttamente con Matteo Orfini, il commissario, poche ore dopo, nel Transatlantico di Montecitorio, subito dopo le votazioni che assolvono il sottosegretario Castiglione, salvato dal voto pressoché unanime del Pd (anche della minoranza) contro le mozioni di Sel e M5S che ne chiedevano le dimissioni. Un trattamento discontinuo: il Pd salva il sottosegretario Ncd e quindi la maggioranza, ma per fatti e intrecci similari dell’inchiesta non fa sconti se non proprio a Marino, alla sua giunta.
«Matteo, guarda, così non si può più andare avanti, ci sono consiglieri che continuano a dimettersi», l’esordio di Bonaccorsi, «mica possiamo aspettare tanto». «E invece la linea rimane quella, aspettare la relazione di Gabrielli, poi si vedrà», risponde pacato pacato il commissario. «E poi, ma come gli è venuto in mente a Barca di fare quella relazione sui circoli, ma tu l’hai letta prima? Là si delinea una concezione di partito vecchia, passatista», rilancia la renziana.
CIRCOLI CATTIVI
«Su varie cose puoi avere ragione, ma sui circoli cattivi ci ha preso in pieno», replica convinto Orfini. Il colloquio termina da buoni amici, ma le tensioni restano tutte. Orfini è determinato. «Io il chiarimento semmai devo darlo a chi mi ha nominato commissario a Roma, non ad altri», chiosa quando rimane solo seduto su una poltrona in compagnia del cellulare. E le voci di dissensi con il premier segretario? «Invenzioni, c’è assoluta convergenza. Non è che uno vuole cacciare Marino e un altro lo vuole barricare, la linea è di aspettare la relazione di Gabrielli e poi valutare. Punto». Altre strade? «Nel senso di far dimettere in massa i consiglieri? Mah, non la vedo facile. Anzi».
Nella Capitale è stallo a sinistra. Nessuno dei due partiti, quello delle dimissioni subito e l’altro del facciamo quadrato su Marino, riesce al momento a prevalere. Lui, il sindaco difeso-contestato, è ormai nella parte del combattente nel bunker, tanto che per venerdì è annunciata una manifestazione in suo favore. Il problema è che all’ombra di Marino si combatte a Roma una eterna battaglia per il comando del Pd capitolino, dove antichi leader non sono più sulla breccia e i nuovi faticano a emergere. Sicché, a tratti, a difendere Marino appaiono al momento proprio quelli della vecchia gestione romana, come ad esempio l’ex segretario cittadino, Marco Miccoli, che proprio ieri si è profuso in un accorato appello pro sindaco: «Il sindaco di sfiducia in aula, ci si deve mettere la faccia. C’è una vergognosa sequenza di dimissioni. Io sto con Marino». La situazione è poi semi precipitata dopo la relazione di Fabrizio Barca alla festa dell’Unità, «e gli hanno pure organizzato la claque», il sospetto dei renziani. L’accusa è a Barca ma per arrivare a Orfini, complici entrambi di perseguire il medesimo disegno di voler fare pulizia nel Pd romano all’insegna di un modo antiquato di concepire il partito. «Vogliono chiudere i circoli per aprire i soviet», la sintesi folgorante di Beppe Fioroni.
I renziani sostengono che il Capo avrebbe deciso: poco prima dei ballottaggi – raccontano – Renzi ha telefonato ad alcuni fedeli della Capitale ponendo la amletica domanda «che facciamo a Roma?». L’idea è un commissariamento di Roma non proprio breve, per poi votare senza”traini”, lontano dalle politiche. Con chi candidato? «Più che al toto sindaco, guardate al toto commissario», dice la Bonaccorsi.