la Repubblica, 24 giugno 2015
Quella sfrenata passione dei cinesi per l’Europa. Mangiano pizza italiana, ascoltano pop inglese, vanno pazzi per il design scandinavo, per le ferie scelgono Vienna: quella per il Vecchio Continente è la nuova passione di massa degli abitanti del Dragone. Ma i vertici tremano
Il “Musikverein” di Vienna, tempio del valzer asburgico, è stato ribattezzato «karaoke di Pechino». Nell’ultimo anno, sfrattato Strauss, si sono esibiti 140 gruppi musicali e 27 orchestre di studenti e operai cinesi. L’affitto costa 30 mila euro a sera, ma per gli ex rivoluzionari rossi un concerto nella Golden Hall della principessa Sissi, fotografie comprese, è il sogno proibito della vita. Le università di Cambridge e Oxford vengono invece definite ormai «succursali di Shanghai». Gli studenti cinesi sono diventati il gruppo più numeroso di iscritti stranieri, oltre che i primi finanziatori privati degli atenei-icona del Vecchio Continente.
Nel 2014 i “nuovi padroni del mondo” hanno investito nell’eurozona 18 miliardi di dollari: gli immobili sono passati dallo zero del 2013 ai 3 miliardi dello scorso anno. Nello stesso periodo, in Cina, decine di milioni di fedeli a Mao Zedong hanno speso fino a 30 euro a testa per trovare un nome europeo presentabile. Fino a ieri si auto-battezzavano Pomodoro, Moscerino, Cenerentola, oppure Mela. Oggi pagano un consulente per scovare un appellativo che non faccia sbellicare dalle risate i propri clienti di Francoforte e a Shenzhen, capitale produttiva globale, secondo l’anagrafe risiedono più François che a Parigi.
Si chiama “Europe Style” ed è l’attrazione irresistibile che contagia la Cina: il miraggio, dai super- ricchi, si è trasmesso prima alla classe media e poi ai compagni delle masse proletarie. La rivoluzione in meno di tre anni. Il presidente Xi Jinping, appena salito al potere, aveva lanciato «l’espansione culturale cinese» nel mondo, seminando Centri Confucio anche nei centri di provincia. Obbiettivo: “cinesizzare” il pianeta. Il 2015 rivela invece di essere già l’anno dell’«attrazione ideale europea» della Cina, con il popolo più numeroso del pianeta che pone «la vita in Europa» al primo posto tra i desideri confessabili.
Pechino puntava a conquistare l’Occidente, imponendo yoga, tè verde, biciclette, panda, ping-pong, tofu e medicina tradizionale. Scopre al contrario che è il cuore antico del Far West, mai come oggi, ad affascinare i cinesi, diffondendo jogging, caffè, automobili, cani di razza, calcio, formaggio e farmaci svizzeri. La stessa propaganda di Stato ammette in questi giorni che «vivere all’europea è la speranza di un popolo riscattato dalla fame». Più che una moda consumista, ha scritto il Quotidiano del Popo-lo, una «conversione antropologica che rischia di rubare l’identità ad una civiltà millenaria».
Grazie a web e social network anche i cinesi confinati nei villaggi rurali mangiano pizza e bevono vino, ascoltano il pop inglese e calzano le scarpe disegnate in Italia, tagliano i capelli come i vecchi punk tedeschi e piangono davanti ai telefilm spagnoli. A Pechino e a Shanghai le librerie scoppiano di libri sui segni zodiacali occidentali, sulla cucina francese, sul design scandinavo, sulla filosofia dell’antica Grecia, sulla letteratura tedesca e perfino sull’arte del giardinaggio britannico. Su Alibaba, gigante dell’e-commerce, la moda più acquistata è quella europea, come i viaggi, le ville, i profili per il lifting, i film e addirittura i modelli per la gestione aziendale. La nuova euro-mania dei cinesi è tale che anche Xi Jinping ha abbassato i toni della condanna anti-occidentale.
Due giorni fa il “nuovo Mao” è arrivato ad ammettere che «la Cina ha molto da imparare dallo stile europeo». Dal 28 giugno al 2 luglio il premier Li Keqiang atterrerà così a Bruxelles per il vertice con quello che è già il primo partner commerciale della seconda economia del mondo. In agenda, la Banca asiatica d’investimento nelle infrastrutture e la nuova Via della Seta. Sono i due progetti più ambiziosi dell’era dei “neo-riformisti” comunisti, accomunati da un disegno storico: avvicinare la Cina all’Europa, ridimensionando l’influenza degli Stati Uniti. Obiettivo realizzabile solo grazie a quello che i leader della Città Proibita chiamano «cambio d’orizzonte»: i cinesi guardano meno all’America, ostile ed estranea, è più all’Europa, amica e vicina, a cui tendono da sempre. E se fino a cinque anni fa il miraggio era limitato al lusso, alla moda e allo star system, oggi il fascino affonda le radici nel modo di vivere e nella speranza per il futuro.
Un sondaggio rivela che il 62% dei manager cinesi vuole mandare i figli a scuola e all’università in Europa. Il ministero dell’Istruzione ammette che nel 2000 studiavano nei paesi della Ue 39 mila giovani cinesi, esplosi a ben 460 mila lo scorso anno. L’area Schengen è diventata la prima destinazione anche per i cinesi che ottengono il permesso di trasferirsi all’estero: lo scorso anno i visti permanenti sono stati 14 mila.
Paura dell’”invasione gialla”? Al contrario: l’ex blocco dell’Est, ma pure Portogallo, Spagna, Grecia, Malta e Cipro, hanno lanciato i cosiddetti “visti d’oro” che garantiscono residenza e cittadinanza in cambio di investimenti immobiliari o produttivi. Lo scambio è elementare: i cinesi portano soldi e gli europei concedono passaporti, espediente politicamente corretto per non ammettere che offrono la libertà. Diritti e clima democratico, ma non solo. L’Accademia delle scienze di Pechino rivela che l’87% dei cinesi in rotta verso l’Europa è attratto proprio dallo “stile di vita”: aria respirabile, acqua potabile, alimenti non tossici, welfare, orari di lavoro sostenibili, traffico affrontabile, città a misura d’uomo, ambienti meno competitivi, cultura e istruzione avanzate, sanità all’avanguardia e famiglia non ancora estinta.
Può essere un’immagine idealizzata, ma è certo che il clamoroso successo sociale dell’Europa tra i cinesi sta costringendo Pechino a prendere atto del sorprendente fallimento culturale dell’altra faccia del proprio boom economico. L’urbanizzazione forzata più impressionante della storia, con mezzo miliardo di persone strappate alle regioni d’origine, non impone il modello cinese della megalopoli industriale, ma esporta gli stessi cinesi nella «piccola e media» Europa. Studenti, lavoratori, imprenditori, investitori, turisti e famiglie lasciano in massa la «nazione dell’obbedienza» per il «continente della responsabilità»: a fine maggio- i dati sono delle Nazioni Unite- i cinesi trasferiti in Europa hanno toccato il record dei 3 milioni, a cui vanno aggiunti studenti e clandestini.
«Prevale la preoccupazione per il futuro dei figli – spiega Par Lilijert – a capo dell’ufficio migrazione di Pechino – dall’istruzione all’ambiente. Ma la calamita è l’idea di appartenere all’universo aperto che conserva l’esclusiva di bellezza e benessere». Il paese resta sotto shock per il suicidio di quattro fratellini che vivevano soli in un villaggio. Si sono avvelenati per il dolore dell’abbandono da parte dei genitori, trasferiti in città per lavorare. La tragedia ha aperto un confronto senza precedenti, ricordando che in Cina gli «orfani professionali» a rischio suicidio sono 60 milioni all’anno. Il fascino dello “Europe Style” si nasconde anche nella resistenza di modello più umano, alternativo alla vita made in China.
«Ci piacciono il gusto e la creatività europei – dice Zhao Ronghui, docente dell’università internazionale di Shanghai – ma a conquistarci è la proposta di una società in cui il diritto dell’individuo ha lo stesso valore dell’interesse collettivo. Anche se costa qualche punto di Pil». Se così è, i leader di Pechino hanno da preoccuparsi assai di più che dal derby euro-cinese tra würstel con crauti e involtini primavera.