la Repubblica, 24 giugno 2015
I segreti del Quirinale svelati al pubblico, dalla pipa di Pertini alla sala delle Logge. Selfie vietati, sicurezza discreta e stupore diffuso: in fila tra turisti e cittadini per le prime visite (a gruppi di 30) nelle stanze del Palazzo-simbolo
Nella Sala dei Corazzieri a un certo punto (1912) i Savoia giocavano a tennis. Poco più avanti i soldati francesi – «monzù scommunicati» secondo il Belli – arrestarono Pio VII. Ancora qualche passo e ci si può affacciare sulla piazza, sopra i Dioscuri di Montecavallo, con lembo di tricolore sotto gli occhi, a pochi centimetri. Nella Sala degli Specchi la signora con il ventaglio fa la spiritosa e guardando l’immane lampadario bisbiglia al marito: «Guarda, è come quello di casa…».
Un signore anziano nota l’assenza di caminetti. Una ragazza orientale si arresta rapita dinanzi alla Cappella Paolina. L’uomo con la t-shirt con su scritto “Speedy-Walk” si stupisce nel notare che nella prima copia della Costituzione l’allora Capo del Governo si firma “De Gasperi Alcide”. Gli orizzonti del turismo istituzionale offrono la più inusitata varietà di soggetti: putti che si baciano, animali che si dilaniano, ebbrezze di feticismo regale tipo l’abito della regina Elena, in foto l’immancabile pipa di Pertini, in video una gagliarda perorazione di Scalfaro, nei giardini due esemplari di rarissimo Ginko Biloba e quella botola dietro cui, in forma di scavi, gli archeologi da decenni disputano la presenza del tempio del dio Quirino, donde il nome del colle.
Ecco, fino a ieri il Quirinale era un luogo solenne, vasto, vuoto e anche troppo silenzioso. Tanto bello, senza dubbio uno dei più belli al mondo, quanto diffidente. Da guardare senza entrare. Per sua natura da sempre il potere si chiude, possibilmente a chiave; e in questo caso, un po’ come nelle fiabe, i guardaportoni erano uomini altissimi rivestiti di lucenti armature.
Il disincanto giornalistico, ammesso solo durante le crisi di governo e confinato in ambiti di pregevole teatralità, vi scorgeva un’atmosfera lievemente da operetta. Però poi tra scherzi e facezie era la storia stessa a scoraggiarli; e l’immensa bellezza che si immaginava dietro quella porta da cui si mostravano, dopo lunghe attese, le smanie dei capipartito e le liste dei ministri.
La novità è dunque che al Quirinale è cambiato il paesaggio. Non si dice per sempre, ma solo perché in un palazzo che finora ha ospitato 31 papi, 4 re e 12 presidenti della Repubblica, più un imperatore virtuale, Napoleone, che qui ha lasciato cospicue tracce pur non avendovi mai messo piede, beh, almeno a Roma «per sempre» suona illusorio. Ma il colpo d’occhio era davvero un altro. Un ordine che scorreva miracolosamente; un formicolio di magliette, sandali, cappelli di paglia, una carrozzina, tanti sguardi curiosi, emozionati; un segno di vita, per una volta, un bagliore di democrazia da vivere, guarda un po’, non da osservare, da ascoltare, da perdersi nella solita retorica.
«Il popolo invade palazzi già abbandonati», recita un aforisma di cinico realismo. Ebbene, la scelta di Mattarella rovescia questa logica. Non sarà l’apriscatole di Grillo, ma la Città Proibita mette in discussione la sua ragion d’essere. Per il potere è una specie di auto- sacrificio: cede spazi per non cedere in dignità.
Forse è anche un investimento. Meglio visitatori che conquistatori, meglio ospiti autorizzati che rabbia di insorti, meglio la contaminazione che l’ostilità.
Gli uffici nelle ultime settimane hanno lavorato allo spasimo. Si tratta di accogliere gruppi di 30 visitatori come una pacifica, accorta, ma continua invasione. Cinque giorni a settimana, da mane a sera. Ogni gruppo un adesivo bianco o rosso per distinguere i partecipanti. Sette gruppi in contemporanea gironzolano per la reggia senza incrociarsi in due diversi itinerari. Due punti di ristoro (acqua minerale e macchinette del caffè), a parte una sosta finale nel bar del palazzo, dalle parti delle meravigliose carrozze. Vietati i selfie, sicurezza discreta, ma presente, un corazziere per gruppo, con walkie-talkie. Le guide sono studenti e studentesse di storia dell’arte ricompensati con crediti formativi. Dicono l’essenziale e lo dicono bene. Li assistono appassionati volontari del Touring Club. Vigili del fuoco dislocati qui e là, a seconda dei rischi.
Il Genius loci del Colle offre a chi si prenota – dallo Scalone d’onore alla Sala delle Logge – oro, argento, porcellane, decorazioni di ogni sorta, ebanisteria da far girare la testa, statue e pitture, orologi e una sorta di macchina del tempo che ha preso il posto degli uffici della Vicesegreteria generale per ricostruire l’esatto ambiente in cui Vittorio Emanuele incontrò Garibaldi.
Ma il vero spettacolo, a ripensarci bene, sono i cittadini di tutte le età con gli occhi persi d’eccitazione e il naso per aria. Una giovane coppia scivola accanto al tavolo dello studiolo dove qualche mese fa Napolitano e Renzi hanno dato forma al governo; e lì dietro si accede alla fantastica terrazza in cui Cossiga indossò una maglietta che recava scritto un verso di Rimbaud: «Ho incontrato l’alba d’estate».
Troppi fantasmi, in fondo, uguale nessun fantasma. Ma l’ex palazzo della Purezza Celeste resta un enigma variabile. Viene da chiedersi se il flusso costante di cittadini comuni inciderà sulle decisioni. Viene da rispondere che se non entra mai nessuno, lì dentro ci si rimbambisce molto prima e si sbaglia molto di più.