la Repubblica, 24 giugno 2015
A proposito della polemica su Adriano Sofri. La domanda da farsi sarebbe a che diavolo serve, in Italia, scontare una pena, se averla scontata non vale a considerare chiuso il conto, e pienamente riaperto il rapporto con la società. Che ci si chiami Sofri o Pinco Pallino
Se non altro in quanto ex ospite delle patrie galere, Adriano Sofri ha chiara competenza in materia di reclusione e di reclusi. Ne avrebbe ugualmente, aggiungo, e con identica titolarità di cittadino e di essere umano, anche se fosse responsabile del reato che gli fu imputato, e per il quale ha scontato la sua pena; tanto per chiarire che le dispute tra innocentisti e colpevolisti c’entrano veramente niente, perfino in termini logici, con la violenta/sprezzante polemica scatenata dall’invito che il Ministero ha rivolto allo stesso Sofri perché partecipasse a una riunione sullo stato delle carceri e sulla loro invocatissima riforma. È in quanto uomo di carcere (sé nolente) e in quanto intellettuale che Sofri era stato contattato: in che senso, dunque, sarebbe “inopportuno” il suo contributo a una questione che ha vissuto, analizzato e descritto come pochi altri? Odiando i pettegolezzi, al primo accenno di polemica Sofri si è “dimesso”, ovvero, molto più banalmente, ha rinunciato a partecipare a un incontro del quale sarebbe stato protagonista autorevole e sensibile. Diciamo che, sul piano del giudizio greve, ha già dato, e si comprende che non abbia alcuna voglia di rimettersi alla mercé del primo dichiaratore di passaggio. Detto questo, e aggiunto che queste mie righe vanno prese con le molle perché evidentemente influenzate da stima e amicizia per Sofri, la domanda da farsi sarebbe a che diavolo serve, in Italia, scontare una pena, se averla scontata non vale a considerare chiuso il conto, e pienamente riaperto il rapporto con la società. Che ci si chiami Sofri o Pinco Pallino.