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 2015  giugno 23 Martedì calendario

Mafia capitale, i buoni rapporti con i collaboratori (non indagati) di Marino, il sindaco che non ne sapeva niente. Travaglio: «L’unico punto a suo favore è che ora, a chiedere la sua testa, sono Renzi e la Boschi. Una pochade: chi candida il condannato ineleggibile De Luca in Campania e si tiene al governo cinque sottosegretari indagati, dovrebbe guardare prima in casa propria e poi in Campidoglio»

Il mancato scioglimento del Consiglio comunale dimostra come la mafia ancora una volta ha sconfitto lo Stato”. Lo dicono a una sola voce i dirigenti pd Walter Veltroni, Laura Garavini e Luigi De Sena, che chiedono al ministro dell’Interno di “riferire in Antimafia su questa gravissima decisione”. “Rinviando continuamente lo scioglimento del Comune – denuncia Pina Picierno, responsabile Legalità del Pd – il governo ha regalato un salvacondotto all’amministrazione comunale infiltrata dalle mafie e ha creato un precedente pericolosissimo: da domani ogni volta che ci troveremo in situazioni analoghe vedremo sindaci e consiglieri dimettersi per evitare lo scioglimento per infiltrazioni mafiose”. Per Marco Minniti, responsabile Sicurezza del Pd, “è una Caporetto dello Stato di diritto e della lotta contro la mafia”.
Niente paura: queste e tante altre dichiarazioni identiche non riguardano il Comune di Roma infettato da Mafia Capitale, ma quello di Fondi (39 mila abitanti, provincia di Latina) che nel 2008 – quand’era retto da una giunta di centrodestra – il prefetto e il ministro Roberto Maroni chiesero di sciogliere per infiltrazioni della camorra e della ‘ndrangheta. Ma il governo Berlusconi lo salvò con quasi due anni di rinvii, culminati nel 2009 con le dimissioni pilotate del sindaco e della sua squadra.
Le differenze fra il caso Fondi e il caso Roma sono due. Una milita a favore di chi non vuole sciogliere il Comune della Capitale: a Fondi il prefetto e il Viminale erano entrambi per lo scioglimento, ma il governo si mise di traverso; a Roma il prefetto Gabrielli e il ministro Alfano devono ancora decidere e dovrebbero farlo entro luglio (anche se i primi arresti di Mafia Capitale risalgono a più di sei mesi fa). L’altra porta invece nella direzione opposta: nel 2008 il prefetto di Latina motivò la richiesta di scioglimento di Fondi con i legami che emergevano “tra soggetti legati per via parentale a figure di vertice del Comune” e membri di vari clan mafiosi, anche se tutto ciò non era confermato da alcun atto giudiziario: non c’erano esponenti della giunta e del consiglio indagati per mafia, e proprio questa fu la scusa usata dal governo B. per insabbiare tutto. Oggi invece a Roma ci sono vari esponenti delle giunte e delle maggioranze vecchie e nuova arrestati e/o indagati a vario titolo per Mafia Capitale, cioè in base a elementi riscontrati da atti giudiziari.
Non solo: uno dei due capibanda – Buzzi, ergastolano per omicidio, poi padre-padrone della coop rossonera “29 Giugno”, socio di Carminati – ha finanziato la campagna elettorale del sindaco Marino e il partito di Marino ed era in amorevoli rapporti almeno telefonici con l’ex capo della segreteria e con la segretaria di Marino (non indagati); parlava di assunzioni col vicesindaco di Marino (non indagato); e stipendiare occultamente – secondo l’accusa – esponenti della sua maggioranza e della sua giunta (per non parlare della cosiddetta opposizione di centrodestra). Ma anche se nulla di tutto ciò risultasse dalle indagini, e anche se non esistessero indagini, ma solo notizie su relazioni pericolose penalmente irrilevanti, il Comune di Roma andrebbe sciolto comunque. Lo dice la legge modificata nel 2009, che prevede lo scioglimento dei comuni infiltrati anche in via “extra penale”, a scopo “cautelare” e di “prevenzione”. Per ben 128 volte, e anche per molto meno, altri comuni sono finiti sotto la mannaia prefettizia e governativa. Ora non si vede per quale motivo la regola non dovrebbe valere per Roma, dove le carte giudiziarie e le confessioni e le intercettazioni immortalano uno spaventoso verminaio ai vertici della città che sta per ospitare il Giubileo e pretende di candidarsi alle Olimpiadi 2024. L’obiezione di Marino & his friends è duplice. 1) Il sindaco è una persona perbene e si è scelto un assessore alla Legalità onesto e capace come l’ex pm Sabella. 2) Tutti i reati commessi sotto la gestione Marino sono passati sopra la sua testa.
La prima obiezione è vera, ma non c’entra nulla: essendo non solo intonso da accuse e sospetti giudiziari, ma anche a prova di corruzione, Marino ha tutto il diritto di rigiocarsi la partita alle prossime elezioni anticipate come candidato del Pd. Ma con una squadra e una maggioranza scelte da lui e dai suoi, non da chi aveva piazzato nei gangli vitali del Campidoglio e dintorni tutta quella gentaglia. Invece la seconda obiezione, riassumibile nel nomignolo “Ignaro Marino”, rischia di essere un boomerang. Se un sindaco non sa quello che fanno i suoi collaboratori e alleati, vuol dire che è troppo incapace o sprovveduto per governare una città-Stato come Roma; ma soprattutto significa che la struttura politico-amministrativa che gli sta dietro, sotto e anche sopra è irrimediabilmente inquinata. E nessuno può sapere chi si porterà via la prossima puntata di Mafia Capitale. Perciò occorre azzerare tutto, restituire la parola agli elettori e poi resettare l’intera macchina comunale per ripartire da capo. L’unico punto a favore di Marino è che ora, a chiedere la sua testa, sono Renzi e la Boschi. Una pochade: chi candida il condannato ineleggibile De Luca in Campania e si tiene al governo cinque sottosegretari indagati, dovrebbe guardare prima in casa propria e poi in Campidoglio. Altrimenti è come il bue che dà del cornuto all’asino. Anzi, alla Lupa. Pardon, alla Mucca.