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 2015  giugno 23 Martedì calendario

Se per aprire un ristorante in Italia ci vogliono due mesi e mille balzelli e per aprirne uno a Nizza bastano due settimane. Con tanto di autorizzazioni gratuite e i corsi di aggiornamento li paga lo stato

La burocrazia ha lo straordinario potere di farti sentire stupido. Per quanto uno stia attento si dimentica sempre qualcosa, e le grane arrivano puntuali. Come quella capitata a Giovanni Vivarelli, imprenditore genovese sessantenne da sempre attivo nel settore della ristorazione: «Stavamo mettendo a posto il nuovo locale. Un giorno arrivano gli ispettori del lavoro e ci chiedono il piano di sicurezza e coordinamento». Il piano è previsto per legge, e ha senso nei grandi cantieri. «Il nostro era un cantiere piccolo: abbiamo verniciato i muri, posato il parquet, rifatto i bagni e poco più. La ditta che ha eseguito i lavori aveva tutti i dipendenti in regola. Ma niente da fare, mancava quel piano: la sanzione ci è costata più di 2000 euro».
Per aprire il ristorante di cui è comproprietario insieme al figlio Daniele, Vivarelli ha attraversato una landa di gabelle da pagare e carte da consegnare ogni volta a uno sportello diverso. Un cammino lungo due mesi. Si comincia con il notaio per la costituzione della società: nel caso di Vivarelli e figlio è una Sas, più spesso è una Snc, il costo del notaio è grossomodo lo stesso, attorno ai 1500 euro. Dopo essersi registrata alla Camera di commercio, all’Inps e all’Inail, e avere firmato il contratto di acquisto o di affitto del locale, la nuova società presenta il progetto al Comune. «Per fortuna – dice Vivarelli – il nostro non è in zona 1», quella cioè che a Genova coincide con il centro storico e con il fronte mare e che richiede opere aggiuntive, come ad esempio l’insonorizzazione delle pareti, una seconda toilette e un apposito spazio interno per la raccolta differenziata. Comincia poi la trafila dei corsi di formazione, quello per il certificato Haccp, che dimostra il rispetto delle leggi di igiene ambientale, e quello per la prevenzione, protezione e il pronto soccorso: il primo obbligatorio per titolare e dipendenti, il secondo solo per il titolare, entrambi a pagamento.
Fin qui niente di sconvolgente. Le assurdità cominciano con l’iscrizione al Conai, Consorzio nazionale imballaggi, cui ogni titolare di ristorante o bar deve versare un obolo di 5,16 euro. Se il ristorante o bar, come è ovvio, vende alcolici deve comunicarlo all’Agenzia delle dogane, su carta con marca da bollo da 16 euro, anche se lo ha già comunicato al Comune quando ha presentato il progetto per l’autorizzazione. Per pagare la tassa sui rifiuti il barista-ristoratore deve iscriversi all’Amiu anche se la tassa sui rifiuti è di competenza del Comune che già possiede tutti i dati del nuovo locale. Se il ristorante ha un’insegna, questa in molti casi deve essere autorizzata dalla Sovrintendenza, essendo molti palazzi sotto vincolo, e in ogni caso deve essere autorizzata dal Comune, che poi pretende un canone annuo di 90 euro. Se il bar ha un calciobalilla, un flipper o un biliardo, deve versare all’Agenzia delle dogane, rispettivamente, 600, 1000 o 3800 euro l’anno.
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