la Repubblica, 23 giugno 2015
Patriot, il parco russo di Kubinka, dove i bambini giocano tra tank e missili intercontinentali. L’idea della fiera dell’orgoglio militare, voluta da Putin, era proprio questa: trasformare in un gioco il momento difficile, la corsa al riarmo «provocata dall’ostilità della Nato»
«Mamma, vieni a vedere quanti nemici sto ammazzando». A sentire le grida gioiose della piccola Sofia, con le treccine bionde al vento, inerpicata sulla torretta di uno spaventoso carro armato T90, può anche venire qualche brivido. La bimba ha solo 5 anni, ma ce ne sono anche di più piccoli scatenati tra missili, mitragliatrici pesanti, elicotteri da combattimento di questo gigantesco parco “Patriot” tutto dedicato alla guerra, ma incredibilmente pensato per le famiglie. Le mamme li riprendono con il cellulare, i padri li incitano a tentare qualche arrampicata più ardita: «Vai su quel bestione laggiù che la foto viene meglio!». Si ride, si scherza, si fa una pausa per un gelato o per il gabinetto. E si cerca di non pensare a quello che diceva uno scrittore che tutti i russi hanno studiato a scuola, come Anton Cechov: «Se in un racconto compare una pistola, quella prima o poi dovrà sparare».
Uno degli autori più amati della letteratura russa, si riferiva alla necessità di evitare dettagli ininfluenti che annacquano il ritmo di un romanzo. Ma il fatto che tutte le armi prima o poi finiscano per fare il loro mestiere è un pensiero da evitare in questa grande fiera dell’orgoglio militare russo voluta da Putin e realizzata a 40 chilometri da Mosca con una spesa iniziale di oltre 300 milioni di euro. L’idea era proprio questa: trasformare in un gioco il momento difficile, la corsa agli armamenti «provocata dall’ostilità della Nato», i tagli sulla Sanità e sul Welfare necessari a rimpinguare ancora di più il budget delle Forze Armate.
E la missione appare riuscita. Decine di migliaia di entusiasti visitatori al giorno che arrivano in macchina o in pullman, che si tuffano tra militari selezionati tra i più belli e fotogenici, tra dimostrazioni di “attacchi dal mare”, droni e simulatori di volo. E si inebriano dei canti patriottici della gloriosa vittoria sul nazifascismo sparati a palla dagli altoparlanti. Comprano per pochi rubli una maglietta dedicata ai “gentili uomini verdi” che hanno conquistato la Crimea senza colpo ferire o al nuovissimo tank Armata che i militari annunciano come il più potente e devastante carroarmato del mondo. E più che una volontà guerresca viene fuori l’autocompiacimento per il made in Russia stimolato da preparatissimi imbonitori in divisa che decantano a una folla incantata le gittate, le capacità di penetrazione, la forza distruttiva, con lo stesso entusiasmo con cui si può descrivere la memoria di un nuovo computer o le meraviglie di una robot aspirapolvere.
In un clima da assedio, in parte reale, in parte stimolato dai media di Stato, un bagno di orgoglio può solo aiutare, diffonde senso di sicurezza, fa dimenticare la crisi che si fa sempre più dura.
E serve ad accettare con un caloroso tifo da stadio tutti gli annunci di riarmo e di perfezionamento dell’esercito di Russia. Oltre un milione di uomini, di cui appena 300mila di leva, che fino a pochi anni fa versavano in una deprimente condizione di precarietà tra scarsa preparazione e mezzi obsoleti. Lo sforzo degli ultimi anni è stato decisivo. Silurati un po’ di comandanti troppo seduti, irrigidite alcune regole, reintrodotto in forma moderna l’ora obbligatoria di “indottrinamento ideologico” in cui si spiega ai soldati qual è il loro scopo di esistere. La Crimea ha dimostrato che, almeno i reparti di élite, hanno raggiunto un grado di addestramento elogiato con preoccupazione perfino dagli esperti americani. La produzione bellica, mandata a tutto regime negli ultimi due anni, sta sfornando armi sempre più micidiali. Il tank Armata è uno di questi. Ma anche il missile Yars a testata nucleare di ultima generazione promette, secondo Putin, di «non avere rivali in alcun sistema di intercettazione esistente al mondo». Ne saranno presto dislocati 40, ma altri arriveranno per sostituire gli attuali Satana d’inquietante fabbricazione ucraina, dislocati sulla dorsale di Mosca, negli Urali e in Siberia. Sono missili intercontinentali. Quelli a corto raggio, puntati direttamente sull’Europa e proibiti alla fine della Guerra Fredda da un accordo tra Reagan e Gorbaciov, teoricamente non ci sono più. Ma tutti sanno che una quarantina di Iskander, che possono all’occorrenza essere muniti di testata nucleare, sono già in posizione lungo i confini europei in risposta ai movimenti della Nato.
E nuovi sviluppi si attendono per i carriarmati paracadutabili dislocati in base segrete dalle parti di un po’ tutte le frontiere calde del Paese. A che servono? Il muscoloso parà biondo in mimetica e frustino che posa per le foto di un’intera scolaresca eccitatissima ha un guizzo negli occhi e risponde freddo: «A difendersi naturalmente. Ma anche a occupare un Paese in poche ore».
Ma non è una minaccia, almeno in questa “Disneyland con le stellette” che si prepara a diventare ancora più coinvolgente. Entro due anni ci sarà un treno militare per spostarsi da uno stand all’altro, un parco giochi “a tema bellico” sostituirà le giostrine tradizionali con Biancaneve e il Cappellaio Matto che ora rimangono deserte. I bimbi preferiscono i kalashnikov e i cannoncini degli elicotteri. Senza sapere che una pistola, prima o poi, dovrà sparare.