Libero, 23 giugno 2015
Se quelli del Family Day e quelli del Gay Pride, sommati insieme, non rappresentano questo Paese: rappresentano solo due minoranze che pensano di dover scendere in piazza per combattere due battaglie che hanno già vinto
Non è che quelli del Family Day sono quelli normali («Le voci dell’Italia normale», titolava Libero) mentre quelli del Gay Pride sono quelli anormali. A dirla tutta: quelli del Family Day e quelli del Gay Pride, sommati insieme, non rappresentano questo Paese: rappresentano solo due minoranze che pensano di dover scendere in piazza (ancora) per combattere due battaglie sostanzialmente già vinte. È come dire che dei tifosi di fede opposta, sommati in uno stadio, facciano il Paese: ma la verità è che la maggioranza, allo stadio, non ci va. Le famiglie tradizionali ci sono e ci saranno; le unioni civili non ci sono – in Italia – ma ci saranno: anche perché sono un patrimonio politico di tutte le destre d’Europa, rassegnatevi, bene che vada avremo le unioni civili più arretrate d’Occidente. Partiti e parlamentari si sono tenuti mediamente lontani da entrambe le manifestazioni: hanno fatto bene, perché gratta gratta erano simmetrie del fanatismo, sottoculture divisive, gente la cui biografia non lascia dubbi. Una nota a margine, infine: che a dirlo sia la Cgil o Forza Italia o il Family day, chiunque sia, la pianti di sparare che in Piazza San Giovanni possa starci un milione di persone, il solito milione di persone. Sono balle bipolari: anche calcolando quattro persone a metro quadro – che è tanto – non si può superare qualche decina di migliaia di piazzisti.