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 2015  giugno 23 Martedì calendario

Burocrazia. Tutti quei mesi per un certificato antimafia che non fanno partire la start up dello spazio che piace tanto alla Nasa. La storia di D-Orbit, fondata nel 2011 da Luca Rossettini, Giuseppe Tussiwand, Thomas Panozzo e Renato Panesi, è una di quelle di cui andare orgogliosi: hanno inventato un motore che permette ai satelliti, una volta andati in pensione, di autodistruggersi schiantandosi sull’atmosfera, hanno avuto l’approvazione della Nasa e dell’Esa, ma manca quella della legge italiana per ottenere i finanziamenti. E ora gli investimenti potrebbero essere ritirati per andare altrove

Fino ad oggi gli avevano dato degli «startuppari» e li avevano battezzati anche «gli spazzini del cielo». Ma mai avrebbero potuto pensare, quando decisero anni fa di provarci in Italia dopo gli studi presso la Santa Clara University, Stanford, Berkeley e l’internship presso la Nasa, di doversi mettere in fila per chiedere un certificato antimafia. E invece: succede anche questo alle povere aziende innovative italiane costrette a farsi i muscoli combattendo con la burocrazia invece di utilizzare le energie sette giorni su sette per competere a livello internazionale.
La storia di D-Orbit, fondata nel 2011 da Luca Rossettini, Giuseppe Tussiwand, Thomas Panozzo e Renato Panesi, è peraltro una di quelle di cui andare orgogliosi. «Spazzini del cielo», in questo caso, non ha nulla di dispregiativo, anzi. D-Orbit in questi anni ha convinto Nasa ed Esa (l’Agenzia spaziale europea) e ha raccolto milioni di finanziamenti con il progetto di un piccolo motore che nella sostanza permette ai satelliti, una volta andati in pensione, di autodistruggersi schiantandosi sull’atmosfera.
Nel 2014 sono stati anche finanziati da Como Venture e hanno trovato degli spazi nel Parco scientifico Comonext guidato da Giorgio Carcano. «È una società che troviamo molto interessante» sintetizza il presidente di ComoVenture, Maurizio Traglio. In effetti le cose vanno bene. «Ci stanno cercando in molti – racconta Rossettini, ingegnere aerospaziale con Ph.D. che ha immaginato il progetto iniziale —. Oggi la tecnologia è pronta per essere introdotta nel mercato. In particolare, da inizio anno, D-Orbit ha già ricevuto numerose richieste di offerta da aziende private ed enti di quattro continenti, per un totale di 52 milioni di euro di offerte inviate. Certo un’offerta non è un contratto, ma questo numero supera le previsioni di piano di business della stessa società».
Ma crescere per una società italiana può essere un problema. Per non continuare a distribuire quote del capitale D-Orbit, sfruttando uno dei benefici del decreto per le start up varato dall’allora ministro Corrado Passera, ha pensato di chiedere un finanziamento a garanzia con il supporto di banca Unicredit: 2,2 milioni di euro. «Nonostante il grande aiuto da parte di Unicredit – testimonia Rossettini – e l’assistenza nei numerosi mesi ormai trascorsi dalla data di richiesta, il finanziamento – deliberato nel totale del suo importo dalla banca – è stato bloccato all’inizio dell’anno per il mancato recepimento da parte del nostro Paese di una vigente regolamentazione europea (la numero 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, ndr )».
Danno e beffa, si sa, vanno di pari passo. La procedura prevede che anche una società innovativa per accedere al finanziamento debba presentare un certificato antimafia, regolarmente richiesto nel frattempo dai pazienti startupper.
Peccato che ci vogliano mesi. «È assurdo che sia richiesto un tipo di certificato di questo genere a una società innovativa come D-Orbit» giudica Carcano.
E invece: burocrazia. Tutto regolare. Peccato che i mesi per una società innovativa valgano anni. Nel frattempo i finanziamenti potrebbero essere ritirati, andare altrove. E comunque dei competitor potrebbero approfittare dei tempi d’attesa per un colpo di reni. Una fatica di Sisifo. Ora metà dei finanziamenti dovrebbero comunque arrivare grazie alla buona volontà della banca che crede nel progetto. «Quei soldi servono per assumere personale specializzato» dice Rossettini. Inoltre nel 2016 sarà lanciato e distrutto con questo sistema D-Sat, satellite progettato e realizzato da D-Orbit, come test di mercato. La società insomma non si fa fermare dalla burocrazia. Ma questo «blocco di fatto – ragiona Rossettini – preclude anche ad altre start up innovative di ricorrere a questa misura. Probabilmente ne saranno affette anche piccole e medie aziende non innovative». Appunto.