la Repubblica, 23 giugno 2015
Il mezzo miracolo di Tsipras che però ora deve fare i conti con Syriza. No a nuovi tagli a pensioni e stipendi, sì a misure umanitarie, la reintroduzione del contratto di lavoro collettivo è rimandata, il taglio all’avanzo primario è stato portato a casa mentre sul debito si attendono impegni. Certo, scrive Livini, «il nodo delle pensioni è stato risolto con un trucchetto un po’ andreottiano. La proposta prevede non un taglio degli assegni, ma un aumento dei contributi di lavoratori. Risultato: 1,7 miliardi di nuove entrate nel 2016, esattamente quanto richiesto dai creditori». Il piano ellenico prevede anche 200 milioni di nuovi tagli alla difesa, 1,06 miliardi di tasse in più sui profitti aziendali, 1,36 miliardi grazie a una riforma dell’Iva, 200 milioni sulle licenze tv e sui beni di lusso e un contributo di solidarietà da 250 milioni l’anno sugli stipendi più alti
Atene tira un sospiro di sollievo. La proposta in zona Cesarini di Alexis Tsipras “ha sbloccato i negoziati”, come ha ammesso ieri il ministro del lavoro Giorgos Stathakis. Il rischio default è da ieri un po’ più lontano. Il premier però, convinta l’Europa, deve affrontare ora un ostacolo ancora più alto: convincere Syriza. «Adesso inizia il bello – ride Manos Paloliogos, avvocato di 42 anni che, fischietto rosso in bocca, è in piazza davanti al Parlamento con altre 6mila persone a chiedere che Atene resti nell’euro -Schaeuble è un osso duro. Ma l’ala radicale della sinistra non ha niente da invidiargli. E voglio vedere come farà il premier a spiegarle che non ha tradito le sue promesse elettorali e a ottenere il suo voto».
Le sei ore di riunione di domenica alla residenza del presidente del Consiglio sono servite proprio a questo. Limare i dettagli, calibrare cifre e interventi con due obiettivi: ottenere l’ok dell’ex Troika, certo, ma anche mettere nero su bianco una proposta in grado di passare attraverso le Termopili del Parlamento ellenico dove i 30 voti dei duri e puri di Syriza sono decisivi. «E il risultato è un compromesso che, sono convinto, piacerà sia a Bruxelles che al partito», confida uno dei negoziatori della Grecia.
Vediamo. Tsipras avrebbe tracciato alcune “linee rosse” invalicabili: no a nuovi tagli a pensioni e stipendi, sì a misure umanitarie, reintroduzione dei contratti di lavoro collettivo, rinegoziazione del debito e riduzione degli obiettivi fiscali fissati dall’odiato memorandum. Le prime misure sociali (buoni pasto, elettricità gratis e stop alla vendita all’asta delle prime case per chi è in ritardo sul mutuo) sono state approvate in aula malgrado al resistenza di Ue, Bce e Fmi. La reintroduzione del contratto di lavoro collettivo è rimandata. Il taglio all’avanzo primario è stato portato a casa, con una riduzione dal 4,5% sul Pil previsto all’1% del 2015 e 2% del 2016. Sul debito si attendono impegni. Il mezzo miracolo (si vedrà quanto efficace) del team di Tsipras è però il trucchetto un po’ andreottiano con il quale è stato risolto il nodo delle pensioni. La proposta greca prevede non un taglio degli assegni, ma un aumento dei contributi di lavoratori e imprese in grado di sgravare le casse dello Stato. Salirà al 3,9% il versamento per gli assegni previdenziali tradizionali, dal 4 al 5% quello per il sistema sanitario mentre l’addio alle baby pensioni garantirà 300 milioni. Risultato: 1,7 miliardi di nuove entrate nel 2016, esattamente quanto richiesto dai creditori.
Il piano ellenico prevede anche 200 milioni di nuovi tagli alla difesa, 1,06 miliardi di tasse in più sui profitti aziendali, 1,36 miliardi grazie a una riforma dell’Iva che non tocca le aliquote sull’elettricità oltre a un giro di vite sulle licenze tv degli oligarchi (200 milioni in due anni) e sui beni di lusso e un contributo di solidarietà da 250 milioni l’anno sugli stipendi più alti. «La prima proposta seria da diverse settimane», ha chiosato un incontentabile come il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
L’Europa, insomma, sembra orientata a dire sì, previo qualche ultimo ritocco. E Syriza? «Per ora non rispondo, attendo dettagli – racconta un membro del Comitato Centrale turbato dai dubbi e dietro promessa di anonimato –. Mi addormento la sera con l’incubo di far cadere il primo governo di sinistra del paese. Mi sveglio la mattina pronto a combattere contro compromessi al ribasso». L’astuta formulazione del piano di Tsipras (parto di Yanis Varoufakis, dicono in molti) potrebbe diventare l’alibi per un sì. Sul piede di guerra è anche Panos Kammenos, alleato di governo e leader della destra di Anel: «Se alzano l’Iva nelle isole (suo bacino elettorale, ndr) sarà guerra» ha detto. Si vedrà. L’opposizione è pronta a entrare in campo garantendo i suoi voti al premier. Ma il numero uno di Syriza sa che quella sarebbe la fine del suo governo, cosa che qualcuno sogna a Bruxelles. E se possibile ne farà a meno.
«Si scanneranno, ma alla fine sono convinto che non si sbraneranno – dice sicuro davanti al Parlamento Nikos dietro il suo cartello “Si all’euro, no al rublo” –. Hanno sentito il profumo del potere: poltrone garantite, controllo degli enti pubblici. Non ci rinunceranno facilmente».
Le ferite della Grecia faticano a rimarginarsi. Un gruppetto di anarchici lancia qualche bottiglia d’acqua contro i manifestanti pro euro. Interviene – con mezzi soft, come previsto dal Syriza-style – la polizia. Tutto sistemato in pochi secondi. Giovedì, scommettono tutti, Atene e Bruxelles faranno la pace. Si vedrà a quel punto se la Grecia sarà capace di fare la pace con se stessa.