il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2015
Subbuteo, il calcio in casa che non passa mai di moda. Siamo i più affezionati. Oggi, almeno a livello agonistico, si chiama calcio da tavolo e l’Italia è la patria in grado di accogliere o allevare i migliori giocatori esistenti
Quelli non batterebbero mai una squadra così a Subbuteo, è che sono io una frana!”. In una scena della versione cinematografica del romanzo cult di Nick Hornby Febbre a 90°, Ray e Paul – interpretato dal Colin Firth – si sfidano a Subbuteo mettendo una contro l’altra due versioni dell’Arsenal: quella campione d’Inghilterra del ’71, maglia gialla e calzoncini blu; e la scudettata del 1989, sopra rosso e pantaloncini bianchi. I due protagonisti della pellicola, superati ormai i trenta, stanno per compiere dei passi importanti nella proprie vite, con Paul, in particolare, che si appresta a diventare padre. Nonostante l’approssimarsi delle responsabilità, quell’insieme di omini di plastica colorati, poggiati su delle basi concave, disposti su un panno di tessuto verde che riproduce fedelmente un vero terreno di gioco, continua, inesorabilmente, a far parte del loro quotidiano.
Dal film alla realtà il passo è piuttosto breve: quanti adulti si sentono ancora sentimentalmente coinvolti quando si parla di Subbuteo? Che oggi, almeno a livello agonistico, si chiama calcio da tavolo e vede l’Italia patria in grado di accogliere o allevare i migliori giocatori esistenti, come il pluricampione mondiale Massimo Bolognino. Fu nell’Inghilterra terra dei “maestri” del football che nacque e prese piede questo gioco.
L’inventore, Peter Adolph, nella vita si occupava di ornitologia, tanto che il nome scelto deriva da un uccello, il “lodolaio eurasiatico”, conosciuto come “falco subbuteo”. In inglese il nome comune che identifica il volatile è “The Hobby”, ma la scelta del termine abitualmente utilizzato per indicare un generico passatempo fu impedita dall’Ufficio Brevetti inglese, dove Adolph si era recato nel 1946: l’inventore del Subbuteo, morto nel 1994, optò allora per quello che era il riferimento scientifico che indicava il falco e pensò anche di sfruttare la testa del rapace, come effige che rendesse riconoscibile il nuovo divertimento da tavolo.
Dai primi omini creati, bidimensionali e di cartone, negli anni ’60 si arrivò a quelli tridimensionali di plastica e dipinti a mano: il Subbuteo, non solo per il nome che portava, iniziò a “spiccare il volo” nel 1968, quando Adolph cedette la Subbuteo Sport Games, società da lui costituita, alla Waddingtons Games, azienda inglese che contribuì in modo decisivo all’espansione su larga scala. L’inizio dell’età si può far coincidere con l’avvento degli anni ’70 e durerà in pratica per due decenni: da quando l’ultimo Brasile di Pelé salì sul tetto del mondo a Città del Messico, e fino al 1990, la Federazione internazionale organizzò i Mondiali di Subbuteo, che furono accompagnati – tra il 1980 e il 1992 – dagli Europei.
È più o meno allora che comincia a configurarsi il declino: fino a quel momento, però, il panno verde abbelliva le case di milioni di giovani, offrendo loro quanto di più vicino al calcio “vero”. Anche in Italia – dove oggi si trovano in commercio tre versioni del gioco: Subbuteo, Total Soccer e Zëugo – la “mania” iniziò a diffondersi negli anni ’70: grazie alla nostra passione smodata per il calcio, ma di certo anche per la capacità aggregativa del Gioco e per quella di saper stimolare la fantasia.
Un appassionato celebre è l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, immortalato in più occasioni pubbliche pronto a dare la “schicchera” a uno degli omini disposto sul panno verde; il portiere della Juventus e della Nazionale Buffon ne è invece stato testimonial pubblicitario; l’allenatore francese della Roma Rudi Garcia – rivelò la sorella a Le Parisien – col Subbuteo provava le tattiche a nemmeno dieci anni. Lo stesso Giovanni Malagò, infine, in una recente manifestazione tenutasi a Napoli per i festeggiamenti dei cento anni del CONI, si è cimentato in una partita contro il sindaco De Magistris. Eppure, nonostante le tante dimostrazioni di Vip amanti del calcio in miniatura, negli anni ’90 sembrava giunto l’inesorabile crepuscolo, anche per demerito degli americani della Hasbro: divenuti i nuovi produttori, interruppero la fabbricazione nel giro di appena sei anni, nel 2000.
In Italia, però, ci fu chi non ebbe intenzione di arrendersi a quello che sembrava un destino già segnato. La ditta si chiama “Edilio Parodi”, da novantanove anni si occupa di giocattoli ed è intitolata al papà dei ragionieri Arturo e Giovanni Battista, attuali proprietari. Edilio, nell’estate del 1971, scoprì il Subbuteo – venduto per corrispondenza in Inghilterra – diventandone il distributore unico nel nostro Paese. “Lo siamo stati fino al 1994 – racconta a Il Fatto Arturo Parodi – anno in cui la Waddingtons Games vendette alla Hasbro l’intero comparto giochi, che includeva anche il Monopoli e Cluedo.
Gli americani licenziarono tutti i distributori in giro per l’Europa: ci ricontattarono poi nel 2003, affinché ci occupassimo di un grosso stock di scatole di Subbuteo rimasto invenduto in Italia. Noi accettammo: nel frattempo, comunque, avevamo creato il nostro calcio da tavolo, chiamato Zëugo (‘gioco’, in genovese, ndr)”. Una versione, questa, che utilizza le basi realizzate dalla ProfiBase, ditta italo-tedesca creata da Marco De Angelis, professore di filosofia emigrato in Germania. “Nell’epoca d’oro vendevamo qualche decina di migliaia di Subbuteo l’anno – conclude Parodi – e, indicativamente, dieci confezioni con le squadre per ogni scatola acquistata. Con Zëugo, invece, non siamo nella grande distribuzione ma nei piccoli negozi di giocattoli e modellismo, dove soddisfiamo una nicchia di mercato: quella dei ragazzini di un tempo che oggi sono diventati papà”.