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 2015  giugno 22 Lunedì calendario

Quando Mussolini emigrò a Mentone. Nel sud della Francia che oggi spinge i profughi verso il confine di Ventimiglia perché non graditi, nel giugno del 1940 entrarono le truppe italiane. E i francesi si trovarono all’improvviso stranieri a casa loro, anche se parte della zona era già evacuata

Giovedì 18 giugno, place Charles de Gaulle, ore 18 e 45. Ai piedi dell’imponente statua che replica la fierezza del generale e lo immortala mentre accenna il passo militare delle sfilate, si commemora il settantacinquesimo anniversario del celebre appello che De Gaulle lanciò da Londra nel fatidico 18 giugno del 1940: “La Francia ha perso una battaglia! Ma la Francia non ha perduto la guerra!”. Poche ore prima di quell’accorato appello “à tous les Français”, il maresciallo Pétain aveva ufficializzato l’ignobile collaborazione con i nazisti che avevano sbaragliato l’esercito francese. Ed è anche per questo che De Gaulle si scaglia contro gli arrendevoli governanti, colpevoli di aver ceduto al panico e avere siglato una disonorevole capitolazione, consegnando il Paese alla “servitù”. Tuttavia, “nulla è perduto”, nell’universo libero ci sono forze immense pronte a intervenire e a distruggere il nemico della libertà e della democrazia. La Francia, quando ciò avverrà, dovrà essere presente alla vittoria. Così ritroverà la sua grandezza: “Questo è il mio obiettivo, il mio solo obiettivo!”. Bisogna lottare, e “unirsi a me nell’azione, nel sacrificio e nella speranza. La nostra patria è in pericolo di morte, lottiamo tutti per salvarla!”.
Già. Azione, sacrificio, speranza. Parole sacrosante. Vaglielo a dire a quei disperati che resistono accampati in qualche modo, una quarantina di chilometri più a est, oltre la bella, elegante, ricca Mentone, alla frontiera tra Italia e Francia. Anche i migranti lottano per sopravvivere, e cambiare il loro sventurato destino. Sfuggono alla persecuzione. Alle dittature. Alla morte. I francesi non li vogliono, quasi sempre li rispediscono in Italia: sono sans-papiers. Senza documenti, non esisti. Non hai diritti. Sei un reietto. Un “dannato della terra”, per citare il titolo di un famosissimo saggio del grande Frantz Fanon, quanto mai attuale nonostante sia stato pubblicato nel 1961. Le piaghe dell’umanità si ripetono con eterna implacabile monotonia. Coi soldi, trovi i passeurs che ti portano in Francia, lungo i sentieri delle Alpi Marittime, in quell’arrière-pays affascinante e spettacolare di sovrana bellezza. Coi soldi riesci persino ad ottenere falsi “papiers”, e sperare di farla franca.
Perché i gendarmi sono inflessibili, quando gli ordinano d’esserlo. Le forze dell’ordine italiane qualche giorno fa li hanno accusati di rimandare indietro anche quelli che non erano transitati da Ventimiglia. Inutile disquisire sui diritti dell’uomo e quelli dei cittadini. O evocare liberté, fraternité, egalité. Il sindaco di Mentone si chiama Jean-Claude Guibal, ha 74 anni, è primo cittadino da un quarto di secolo. Ha dichiarato che lui quelli lì non li vuole. Il quotidiano Nice-matin non ha usato mezzi termini. I migranti sono indésirables, titolo che non lascia dubbi. In questi ultimi giorni “la battaglia del confine” è sparita dai notiziari. I turisti continuano imperturbabili a rosolarsi sulle spiagge: come a voler dimostrare che i migranti sono invisibili, e il loro dramma soprattutto una questione di sicurezza e di illegalità. Se la sbrighino i poliziotti. Che è poi il leit motif populista, caro ai Salvini e alla Le Pen. Un ritorno di fiamma, da queste parti.
Giusto settantacinque anni fa, il 10 giugno del 1940 Mussolini aveva infatti dichiarato guerra alla Francia e alla Gran Bretagna: peraltro, nell’anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, ucciso da sgherri fascisti ventun anni prima. La Storia non perdona, la memoria fa anche peggio, talvolta è sprezzante: l’aberrante scelta del Duce fu subito definita “il calcio dell’asino”, “la pugnalata alla schiena” come sintetizzò Roosevelt, appena venne informato della proditoria offensiva italiana, “un colpo inferto a chi si trova sul letto di morte” scrisse Gaetano Salvemini.
Mussolini voleva riprendersi Nizza e la Corsica. Pensava di debellare i francesi in quattro e quattr’otto. I francesi, però, disponevano di un formidabile sistema difensivo detta la “Maginot alpina” che si sviluppava su più linee. Gli ordini italiani erano di non intraprendere alcuna azione, e mantenere un atteggiamento difensivo: nei primi due giorni di guerra dichiarata ci furono solo scontri fra pattuglie. Poi, arrivarono i bombardamenti contro le fortificazioni francesi. Dopo un raid aereo britannico su Torino, l’aviazione italiana colpì nella notte fra il 12 e il 13 giugno alcune località della Francia meridionale, della Corsica e della Tunisia. I francesi replicarono inviando una squadra navale contro i depositi di Vado e il porto di Genova. La difesa italiana fu inefficace. Mussolini era furioso: le armate di Hitler avanzavano impetuosamente. Bisognava far vedere che anche l’Italia non era da meno. Ordinò l’offensiva generale. Inizialmente prevista per il 18 giugno, si produsse tra il 20 e il 22 giugno. Hitler aveva detto al duce che le truppe italiane non avrebbero potuto occupare che il solo territorio conquistato.
Dunque, tra ieri e oggi, si consuma un anniversario che curiosamente nessuno – di qui e di là del confine – ama enfatizzare e rievocare. Invisibile, come i migranti che cercano una nuova vita, senza rinnegare la loro identità. Ho cercato, inutilmente, manifesti, dibattiti, iniziative storiche e culturali che si rifacessero alla drôle de guerre del 1940, costata purtroppo parecchie vittime, specie tra gli italiani. Lo storico Jean-Marc Giaume, consigliere municipale delegato al Coeur de Paillon, al cinema, alla storia e alla trasmissione della memoria, dice di non essere uno specialista, tuttavia ricorda “che mio padre assistette alla sfilata di un battaglione italiano sulla Promenade des Anglais e che i nizzardi li insultavano in italiano”, l’indignazione della gente era fortissima, “per forza, si sentiva tradita dal popolo fratello”…
Per contro, la storia della brevissima guerra combattuta dagli italiani contro i francesi l’ha raccontata, con straordinaria dovizia di dettagli e documentazione, un altro storico di Nizza dalla chiara ascendenza italiana, Jean-Louis Panicacci, che è presidente e direttore del Museo della Resistenza Azureenne. In particolare, due volumi sono essenziali per chi vuole approfondire questo argomento: “L’Occupation Italienne” (sottotitolo: edito dalle Presses universitaires de Rennes, 2010) e Les Alpes-Maritimes dans la guerre 1939-1945, edizioni De Borée, 2013). Hanno un solo difetto: l’abbondanza delle informazioni rischia di sommergere il lettore. Quanto a Panicacci, si è recato alla cerimonia dell’appello di De Gaulle, dove sono sfilati i gonfaloni di ventitré associazioni della Resistenza e dove un centinaio di coristi del gruppo li vous de Nissa, le voci di Nizza, hanno cantato sia La Marseilleise (in francese) sia Nissa la bella (in dialetto nizzardo che ha radici liguri). Non tanti gli spettatori. Una cinquantina, metà comodamente seduta al bar del ristorante di pesce Le Gambetta. Pastis e patriottismo. Il kiosque Tin Tin era chiuso. Tantissimi i poliziotti. Ha parlato, tra gli altri, il controverso sindaco Christian Estrosi, 60 anni il primo luglio, “ussaro della Baia degli Angeli”, l’ha definito questa settimana Le Point, quattro volte campione di Francia in moto (“La mia università”), repubblicano (l’ala destra sarkoziana), sospettato di sudditanza politica nei confronti della giovane FN Marion Maréchal Le Pen. Estrosi, figlio unico di immigrati italiani, si vanta d’aver coperto Nizza con mille telecamere per la videosorveglianza della città e rivendica il merito di aver raddoppiato il numero dei poliziotti municipali.
Il populismo spesso va a nozze con il nazionalismo. E le dittature. Mussolini dovette accontentarsi di una prima occupazione striminzita, 84097 ettari (11130 nel dipartimento delle Alpi Marittime, compresi i 700 di Mentone) e 28353 abitanti teorici, poiché le località frontaliere erano state evacuate. L’esercito fascista occupò subito Mentone, il 25 giugno (leggetevi il bel racconto autobiografico di Italo Calvino, Gli avanguardisti di Mentone, in Nuovi racconti, Einaudi) ma la cittadina era disabitata. L’evacuazione preventiva fu decisa il 25 maggio ed effettuata in due notti, il 3 e il 4 giugno: più di 13mila abitanti lasciarono la “città dei limoni” e i quartieri roquebrunesi di Carnolès e di Cap-Martin, con viveri per quattro giorni e un massimo di trenta chili di bagaglio a testa. I camion li portarono a Cannes e Antibes, prima di essere trasferiti con tre lunghi convogli ferroviari verso i Pirenei Orientali.
Gli italiani si dedicarono al saccheggio. Sistematico. Duemila operai liguri furono mobilitati per ripristinare edifici ponti e strade. I pendolari tornavano a casa portandosi via tutto quello che trovavano: materassi, biciclette, masserizie, macchine da cucire e da scrivere, oggetti d’arte, mobili, scarpe. Al punto che il commissario civile Giuseppe Frediani ottenne 300 l’ausilio di 300 militari per proteggere la città e fece piazzare due blindati al ponte San Luigi per mettere fine a questi eccessi: “Riuscimmo a bloccare parecchie camionette di numerosi antiquari di Torino, Milano e persino Firenze”, scrisse nelle sue memorie. Un problema spinoso, finito sul tavolo del ministro degli Interni. Prioritaria divenne la “fascistizzazione” esemplare di Mentone. L’italiano fu imposto come lingua obbligatoria. La lira, moneta corrente. La toponomastica subì la stessa sorte. La Promenade de la Mer divenne Passeggiata Mare Nostrum. Una via fu intitolata a Francisco Franco. Il Duce sfilò e dichiarò: “Mentone deve rivivere com’era e dov’era”. Cioè in Italia. L’italianizzazione spettacolare fu come l’albero che nasconde la foresta. La non eroica occupazione del mentonese costò 642 morti agli italiani, 62 ai francesi. Il piano mussoliniano di annessione della Corsica e di Nizza era diventato obsoleto anche prima della caduta del Duce, a causa dell’evoluzione bellica, ossia la perdita del Nord Africa e lo sbarco in Sicilia.
In compenso, crebbe l’impegno italiano in Francia. Dall’11 novembre del 1942, l’occupazione italiana si allarga cospicuamente. Nizza, Tolone, Aix en Provence, Valence. La Quarta Armata è presente in 11 dipartimenti metropolitani. Anche il “Nizza Cavalleria” è dislocato in Provenza, è il reggimento più antico d’Italia, un simbolo del regio esercito:tra i giovani ufficiali ci sono il tenente Edgardo Sogno e il sottotenente Gianni Agnelli. L’espansione italiana è strategica. E politica. Che lascia strascichi non indifferenti. Alimenteranno l’italofobia del dopoguerra. Una sbiadita oleografia racconta che nella memoria collettiva dei nizzardi sarebbe rimasto il ricordo di soldati indolenti, “che suonano il mandolino e fanno gli occhi dolci alle belle ragazze locali”. L’analisi storica di Panicacci è un po‘ più seria. Per lui la presenza italiana non è stata soft. Nel luglio del 1943, per esempio, viene cacciato il senatore-sindaco Jean Médecin. Dopo l’8 settembre, finirà nelle mani della Gestapo e della milizia pétainiana. Sarà rieletto nel 1947. Quanto agli ebrei, gli italiani ne arrestano più dei tedeschi che gli subentreranno nell’occupazione, dopo l’8 settembre: 1366 contro 1229. Con una differenza sostanziale, ammessa dallo stesso Panicacci: gli italiani trasformano le condanne a morte in lavori forzati. I tedeschi invece deportano 400 uomini, donne e bambini, oltre ad eliminarne un centinaio.
Ma se non uccidono, gli italiani torturano. Soprattutto i partigiani. Lo fanno a villa Lynwood, in quel di Nizza. O alla caserma Fontan di Mentone. La popolazione civile, comunque, è relativamente protetta: Mussolini non vuole inimicarsela, sogna l’annessione della Contea di Nizza. Fin dalle prime ore dell’occupazione, un aereo sorvola la Costa Azzurra trainandosi dietro una scritta a caratteri cubitali: “Non uno di voi deve pensare a nostre intenzioni ostili”.
Poveri migranti di Ventimiglia, tutti minacciano di erigere nuovi muri contro di loro. Gli spagnoli li hanno costruiti a Ceuta. A Melilla. In Ungheria lo stanno innalzando al confine con la Serbia. C’è chi pretende il Mediterraneo un mare tutto nostrum, sbarrando le rotte, usando la Marina Militare come deterrente. A nulla servono le lezioni della Storia. Per di più, questa è la regione più destrorsa di Francia… l’immigrazione è un cavallo di battaglia che trova facili consensi; il governo francese gioca allo scaricabarile con l’Italia. La politica è inganno, come ingannevole è in questi giorni l’estate. Ci avete tradito, accusa Roma. Senti da che pulpito arriva la predica, replica Parigi, voi ci avete più che tradito. Ci avete deluso, settantacinque anni fa. Stendiamo un velo pietoso…
Sul ponte che supera il fiume Var, appena lasciata Saint-Laurent, accanto alla targa di Nizza è rimasta bene in evidenza quella del 150esimo “rattachement à la France”, l’annessione della Contea nizzarda del 1860. Non è una dimenticanza. Anzi. È sotto sotto un monito. Nel 2010 ci fu un tripudio di manifestazioni per ricordare l’evento, che all’epoca suscitò la rabbia di Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza nel 1807. L’Eroe dei Due Mondi non si considerava né italiano né francese, bensì nizzardo. Ma a Nizza non ci tornò più.