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 2015  giugno 22 Lunedì calendario

Dybala, il ragazzino che giocava a basket con i piedi. Viaggio a Laguna Larga, lì dove è cresciuto il gioiellino neo-juventino. Dai gol dedicati al padre, alla mamma che tira in ballo il creatore: «Lo sa solo Dio quanto abbiamo speso in palloni e riparazioni. Quando era piccolo, rompeva finestre e vasi a ripetizione»

Dicono che in tutta l’Argentina ci sia un solo posto in cui le maglie del Boca, del River e del Barcellona non sono le più diffuse tra la gioventù. Si chiama Laguna Larga, 50 km dalla città di Cordoba, colori dominanti: il “rosanero” del Palermo. Nessun negozio vende queste casacche, il merito è tutto di Paulo Dybala, che è nato qui 21 anni fa e dal 2012 regala ai concittadini esemplari della numero 9 con cui è diventato famoso.Ora che ha cambiato squadra ed è arrivato alla Juve, alcuni dei suoi vecchi vicini di casa ridono, ripensando a quando lo chiamavano “il pretino” perché, esile com’era, anche la maglia più piccola gli andava grande come una tunica. «Ma predicare non era la sua vocazione», scherza mamma Alicia, tirando in ballo il Creatore, per spiegare che «lo sa solo Dio quanto abbiamo speso in palloni e riparazioni. Quando era piccolo, rompeva finestre e vasi a ripetizione».Con gli occhi vispi come quelli del nonno polacco Boleslaw, Paulo Bruno Dybala è nato in novembre, in una parte di mondo in cui quel mese vuol dire primavera. Ultimo di tre fratelli, cresce respirando calcio nel nome del padre Adolfo, detto “El Chancho”, cioè “il maiale” per via di certi interventi spietati che lo caratterizzavano in campo: «Uno dei migliori calciatori che Laguna Larga ricordi – assicura Sergio Marcuello, studioso del calcio locale – una gran ala destra, che con il tempo si è trasformato in numero 5. Più Mascherano che Pirlo, per intenderci».Chi lo conobbe, giura che “El Chancho” non ha fatto strada perché troppo umile e con la testa a posto. Ben presto mette su famiglia e apre una ricevitoria del lotto, chiamandola La Favorita, proprio come lo stadio in cui anni dopo suo figlio avrebbe esordito in A. «Un caso», giura Alicia. La figura paterna è stata centrale nella crescita de “la Joya”, “il gioiello”. Ancora oggi, dopo ogni gol, Paulo esulta guardando il cielo, per dedicare la rete all’uomo che nel 2006, per un tumore, è sparito dal bordo campo dove era rimasto dai primi tocchi del bimbo nel Porvenir, fino al debutto nelle giovanili dell’Instituto di Cordoba, culla di Osvaldo Ardiles e Mario Kempes.A pensarci ora, sembra una storia già scritta, ma diventando grande Paulo è arrivato per due volte a mettere in dubbio la carriera. Alicia ricorda che la prima fu per un impeto di testardaggine. «Disse: ne ho abbastanza del calcio e si iscrisse a una squadra di basket, dalla quale venne cacciato dopo che fu giudicato inguaribile il suo riflesso di stoppare la palla coi piedi». La seconda volta che le speranze di Paulo vacillarono, fu dopo la morte del padre. Era già stato ingaggiato dall’Instituto trasferendosi in pianta stabile nel residence per giovani promesse, La Augustina, che il club metteva a disposizione dei fuori sede. Qui divenne “el pibe de la pensiòn”, “il ragazzo del collegio”. Ma da qui volle andarsene quando il papà non poteva più andarlo a trovare. «Mingherlino, ma con un gran sinistro, andava a caccia di rigori o si accontentava di segnare su punizione», assicura il cronista cordobese Marcelo Bertona.Come nelle migliori leggende, pare che il suo esordio in prima squadra, a 17 anni, avvenga per caso: l’allenatore Dario Franco, privo delle tre punte titolari, lo getta nella mischia in emergenza. «Giocò sotto falso nome, perché l’ingaggio non era ancora stato formalizzato», racconta mamma Alicia. Così, Paulo debutta nell’atteso derby contro l’Huracàn, serie B argentina 2011/2012: lo stadio era una bolgia.In un costante movimento in avanti, opposto a quello compiuto dal padre, da centrocampista a trequartista e da mezzapunta a centravanti, l’anno successivo Dybala miete vittime illustri come il River Plate, all’epoca in B, diventando il primo giocatore dell’Instituto a segnare due triplette nello stesso torneo e confermandosi come il cannoniere più giovane del club. Aveva bruciato il record di Kempes del ’72.Le immagini del suo inconsolabile pianto sul campo del San Lorenzo, con la promozione in A sfumata in extremis, commuoveranno l’Argentina. Tra società fantasma, mediatori e agenti, è la vigilia della partenza per l’Italia. Oggi Dybala è ufficialmente un giocatore della Juve, anche se è sfumata la sua speranza «che Tevez non se ne vada, per poterlo avere accanto». Alicia ricorda che in camera del nuovo Pablito i poster erano quelli di Riquelme e di Palermo. «Erano altri tempi, adesso tocca a lui scrivere la storia».