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 2015  giugno 22 Lunedì calendario

La visita a Torino del Papa col broncio. Chi è abituato a un Bergoglio allegro e affabile, che accompagna le sue omelie e i suoi Angelus con battute e sorrisi, ieri mattina in piazza Vittorio Veneto è rimasto deluso. O forse preoccupato dalla raccomandazione finale, ripetuta per ben due volte: «Non dimenticatevi di pregare per me»

Chi è abituato a un papa Francesco allegro e affabile, che accompagna le sue omelie e i suoi Angelus con battute e sorrisi, ieri mattina in piazza Vittorio Veneto a Torino è rimasto deluso. O forse preoccupato. Il sorriso che il Pontefice dispensava nel lungo giro della piazza sulla barcollante macchinina elettrica e poi durante i pochi baci ad alcuni bambini malati, gli si è spento in volto non appena è salito sul palco per celebrare la messa. Sostituito da un viso rabbuiato, stanco, tirato, commosso, forse addirittura triste per tutta la cerimonia. Sino alla raccomandazione finale, ripetuta per ben due volte: “Non dimenticatevi di pregare per me”. E dire che di occasioni per sorridere, in una radiosa giornata di sole davanti a un panorama mozzafiato, non gliene sarebbero mancate. Per esempio quando ha ricordato le sue radici piemontesi, definendosi “nipote di questa terra”. O quando le migliaia di giovani scandivano cori da stadio (“Uno di noi, Francesco uno di noi!”). O ancora quando ha recitato tradotti in italiano i versi del poeta dialettale Nino Costa, dal “Canto degli emigranti” come lui che deve avergli insegnato da bambino la nonna Rosa (ligure di nascita e astigiana di adozione): un inno ai piemontesi “dritti e sinceri” che “quel che sono appaiono: teste quadre, polso fermo e fegato sano, parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano. Gente che non risparmia tempo e sudore e va a cercarsi il pane…”.
Niente: nessun sorriso nemmeno lì. L’andatura claudicante, la parlata sottovoce durante le preghiere (quasi che il Pontefice parlasse tra sé e sé, e non a più di 100mila persone), i lunghi momenti di raccoglimento silenzioso, seduto dietro l’altare, ripiegato su se stesso con gli occhi socchiusi e quasi a testa in giù, hanno fatto mormorare la piazza, nel timore di qualche problema di salute. O di qualche cruccio, magari per gli attacchi della Lega sull’immigrazione, o più probabilmente per gli ultimi scandali finanziari e i complotti per tenerlo all’oscuro delle manovre intorno agli ospedali cattolici. A nessuno è sfuggita la presenza a pochi metri da lui, accanto all’altare, di uno dei coprotagonisti di queste vicende: il cardinale Tarcisio Bertone. Una presenza quasi obbligata per le sue origini torinesi e per la sua provenienza salesiana (oltrechè alla Sindone – che Bergoglio chiama “icona” e non “reliquia”, deludendo più d’uno – la visita sotto la Mole era dedicata al bicentenario della nascita di don Giovanni Bosco), che qualcuno non ha mancato di collegare al malumore di Francesco. Il quale poco prima aveva già dovuto incontrare Sergio Marchionne, il capataz di Fiat-Fca, un manager non certo in sintonia con la concezione del profitto e della finanza illustrata dal pontefice nella sua nuova enciclica.
Nelle prime file sotto l’altare c’erano anche i discendenti dell’ex famiglia reale (altro pedaggio da pagare, visto che un tempo la Sindone apparteneva a casa Savoia), da Vittorio Emanuele a Marina Doria a Emanuele Filiberto. Ma almeno quelli il “papa venuto dall’altro mondo” ha il diritto e il privilegio di non conoscerli.