La Stampa, 22 giugno 2015
Vincenzo Nibali tenta il bis al Tour de France, «ma senza ossessioni, non mi cuocerà il cervello». I rivali più pericolosi Froome, Quintana e Contador: «La maglia gialla dello scorso anno ce l’ho a casa e aspetto di inquadrarla e appenderla insieme con quella rossa della Vuelta e la rosa del Giro. Ma finora non ne ho ancora avuto il tempo»
Il 27 luglio di un anno fa l’apoteosi sui Campi Elisi: Vincenzo Nibali vince il Tour de France, sedici anni dopo Pantani che era stato l’ultimo italiano a trionfare nella Grande Boucle. Dal prossimo 4 luglio il siciliano ci riproverà, cercando di sfruttare nuovamente un percorso molto vario: partenza da Utrecht, in Olanda, poi un paio di tappe nel vento del Nord, i muri di Huy (quello della Freccia Vallone) e di Bretagne, quindi i Pirenei (Tourmalet, Aspin, Portet d’Aspet, Plateau de Beille) a precedere le Alpi (Pra Loup, Glandon, La Croix, La Toussuire, Teleghaphe, Galibier, Alpe d’Huez).
Nibali, a che punto siamo nella preparazione per tentare un fantastico bis consecutivo, riuscito nel nostro ciclismo solo a Ottavio Bottecchia, 90 anni fa?
«Ho lavorato molto in altura sul Teide, è stato importante per la condizione fisica ma anche per la testa, perché lassù sei isolato dal mondo. Poi sono andato in ritiro sul Passo San Pellegrino. Insomma, credo di aver fatto tutto quello che dovevo per arrivare al Tour nelle migliori condizioni».
Le pesa la responsabilità di dover centrare un fantastico bis?
«Parto con quell’obiettivo, certo, ma senza che diventi un’ossessione, se no rischi di cuocerti il cervello prima ancora di correre».
Che fine ha fatto la maglia gialla dell’anno scorso?
«Ce l’ho a casa e aspetto di inquadrarla e appenderla insieme con quella rossa della Vuelta e la rosa del Giro. Ma finora non ne ho ancora avuto il tempo».
Intanto però di recente ha vestito un’altra maglia gialla...
«Sì, per un giorno al Giro del Delfinato. Peccato però non aver vinto anche la sesta tappa che mi avrebbe permesso di conquistare la testa della classifica. Ci tenevo».
Il giorno dopo, però, sulle montagne vere, lei ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte a uno scatenato Froome. Che cosa è successo?
«Ho voluto evitare un fuorigiri pericoloso, meglio crescere gradualmente. E poi l’esperienza mi dice che, se vuoi fare bene il Tour, è meglio non essere già al top nel Delfinato».
Non è un po’ preoccupato?
«No. Il Delfinato mi ha dato le risposte che volevo, non era quella la maglia gialla a cui tengo di più. Ho fatto una lunga fuga nella sesta tappa, con un pizzico di follia, di tenacia e di anche di orgoglio perché il giorno prima non ero andato bene. Ma forse è per il mio modo di correre che la gente mi apprezza».
Esattamente l’opposto di Froome, che alla fine ha vinto il Giro del Delfinato basandosi unicamente sulle proprie tabelle, come un computer...
«Lui corre così, però ammetto che è andato fortissimo».
È l’inglese il suo rivale più pericoloso al Tour de France?
«È uno dei più pericolosi, anche se preferisco badare più a me che agli avversari. Froome sta curando ogni particolare in vista del Tour, ma bisognerà stare molto attenti a Quintana, perché in montagna non ha paura di nessuno e sa attaccare anche da lontano».
E Contador? Ha appena vinto la Route du Sud, battendo proprio il colombiano.
«Alberto è un fuoriclasse, si sa, ma nella terza settimana del Tour potrebbe anche pagare la fatica accumulata al Giro».
Dunque la doppietta Giro-Tour, che non riesce da Pantani 1998, secondo lei è quasi impossibile?
«Se c’è un corridore che può riuscirci, questo è Contador. Ma il ciclismo dai tempi di Pantani è cambiato molto. E Contador al Giro non ha vinto nemmeno una tappa, strano per lui che un sigillo sulle corse lo vuole sempre lasciare».
Anche lei però quest’anno non ha ancora vinto una corsa, pur avendo vestito la maglia gialla al Delfinato...
«È vero, ma anche nel 2014 andò più o meno nello stesso modo, poi in Francia mi riscattai».
Poco prima del Tour lei però conquistò la maglia tricolore: ci proverà anche quest’anno, nei Campionati Italiani di sabato a Torino con arrivo in salita a Superga?
«Certo. Ho il dovere, e il piacere, di difendere la maglia tricolore, l’arrivo in salita mi si adatta e poi una vittoria tricolore mi darebbe quella spinta in più, come è successo nel 2014».
Rispetto alla scorsa stagione, è cambiato qualcosa nella sua preparazione?
«Direi di no, anche perché l’anno scorso arrivai al Tour in grande condizione grazie al lavoro impostato dal mio preparatore Paolo Slongo».
Lei nel 2014 ipotecò il Tour nella tappa di Sheffield e poi sul pavé, prima ancora che sulle montagne: quali saranno i punti chiave di quest’anno?
«Direi ancora il pavé, poi la penultima tappa con Telegraphe, Galibier e arrivo in quota all’Alpe d’Huez. Soltanto lassù si deciderà il Tour 2015».