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 2015  giugno 22 Lunedì calendario

Il nuovo Carroccio. Dalla trincea di padri e madri con figli alla musica da discoteca a tutto volume, passando per tutte quelle donne sul palco ad accompagnare il relatore di turno. Cronaca di una Pontida diversa. Salvini in maglietta blu, Calderoli e Crippa in nero. Tra loro anche un nigeriano di 60 anni che, con altri quindici, parlerà dal palco mostrando la maglietta «Non razzisti ma realisti»

Mai come ieri, il pratone di Pontida. Sotto la regia di Radio Padania, più un festival che una giornata di comizi barbosi. Un mix inedito, specie per i padani di lungo corso. Un Carroccio nuovo. Nello stile e non solo. Una separazione netta dalla Lega bossiana. Con i bambini invitati un po’ messianicamente a salire sul palco, sotto la scritta cubitale «Siamo qui per vincere», in modo da formare una telegenica trincea di «padri e madri con figli, ma quale genitore uno e genitore due…», sino all’uso in salsa padana del «sorcino» Renato Zero, «I migliori anni della nostra vita sono qui a Pontida». E poi musica da discoteca a tutto volume e tante donne sul palco ad accompagnare il relatore di turno.
Come negli anni d’oro della Lega, i Novanta del secolo scorso, è arrivata una gran folla, che s’arrampica dovunque, ma a ingrossarla su quello che era ed è considerato il sacro suolo padano stavolta sono i «terroni». I nuovi alleati del Sud e del Centro Italia. I «fratelli confederati» che sciamano ovunque, curiosi e festanti, arrivati al Nord con pullman, camper e bandiere «Noi con Salvini».
Non sono però i pugliesi di Martina Franca Angelo Gianfrate e Francesco Chiarelli che protestano contro le trivellazioni petrolifere al largo di Polignano, o i seri siciliani di Palermo con il simbolo della Trinacria, o il cagliaritano Daniele Caruso giunto all’alba sin sotto il palco leghista con la bandiera sarda, né tantomeno lo sdentato ligure con il cartello «Renzi levite da u belin, Ventimiglia» ad aver determinato la svolta di ieri a Pontida. Se si osserva il popolo leghista, spicca nel look una divergenza. La platea è ancorata agli accessori verdi, dalla custodia del telefonino agli occhiali, dall’abbigliamento al trucco delle ragazze. Ma sul palco quel verde primigenio è diventato più raro. Non sembra una coincidenza il fatto che, tra i big, il verde antico ce l’abbia addosso Umberto Bossi, ormai tramutato in profeta di sciagure: «Non si salverà nessuno. Nessuno! Tra qualche anno per le pensioni ci sarà la guerra civile».
La folla, che non gli ha perdonato i «magheggi» con la cassa, chiacchiera distratta. Ed è la stessa platea che si è spellata le mani per il presidente della Regione Maroni, e moltissimo per Luca Zaia, in giacca blu e camicia bianca: specie quando il «doge» (l’hanno chiamato così) spiega come «i pasti dei malati negli ospedali veneti costano 6 euro e mezzo, al Sud Italia 60 euro». In verdino stinto c’è Giancarlo Giorgetti; in nero Roberto Calderoli; maglietta nera per Crippa dei Giovani padani; e in nero anche un leghista ieri ricercatissimo per i selfie: è un nigeriano di 60 anni che, con altri quindici, parlerà dal palco mostrando la maglietta «Non razzisti ma realisti». È il neo leader del dipartimento federale Sicurezza e immigrazione, si chiama Toni Iwobi, ed è un ingegnere che – dice – arrivando in Italia 39 anni fa, ha fatto «mille lavori prima di aprire la mia ditta, che dà lavoro a tredici persone».
E il numero uno leghista Salvini, braccato da persone di ogni età che lo chiamano «capitano», indossa felpe verdi? Macché, ha una maglietta blu, con triangolo rosso, la scritta «Ruspe in azione, Pontida 2015 io c’ero!», e tanto di firma, la sua, stampata. La maglietta si vende a dieci euro e lo stesso concetto divisivo – #quellidellaruspa; Keep calm and accendete le ruspe; Lombardi ruspanti; + ruspe – rom; Milano, viverci un onore, difenderla un dovere; No alle moschee; Stop invasione, prima il cittadino non il clandestino – viene replicato dovunque. Dal portachiavi venduto alle bancarelle, alla ruspa gialla che un gigantesco marchigiano calvo, Alessandro Bortoli, porta in spalla, a quella che il giovane bresciano Flavio s’è cucito sul berretto: «Ma le ruspe mica le usiamo sulle persone, gli diamo sei mesi di tempo per lasciare le baracche abusive, poi – conclude – si spiana».
Se, scrutando le bandiere a perdita d’occhio, moltissimi relatori parlano di «data storica», Salvini riesce a mescolare in un flusso unico e (per i suoi fedeli) quasi ipnotico una frase di san Francesco e una reprimenda al Papa, fa scaturire come un rabdomante un bell’applauso a favore di Wladimir Putin, parla di lavori forzati per i delinquenti e di asili nido gratis. Qualunque cosa faccia o dica, Pontida è con lui. Persino quando resta impettito sotto l’albero piantato a Pontida l’anno scorso «in ricordo dei morti padani», mentre una cornamusa intona l’inno cristiano “Amazing grace”, molto ballato negli anni Settanta grazie al moog del Guardiano del faro ( il titolo allora era «Il gabbiano infelice»). Da notare che in gran parte sono morti di vecchiaia, non certo di guerra.