Corriere della Sera, 22 giugno 2015
Ecco la Pontida di Salvini. Il leader della Lega se la prende col premier («Userò la ruspa contro Renzi»), col Papa («Mi fa piacere che abbia trovato il tempo per incontrare i rom») e con l’Unione europea («Covo di criminali che vogliono assassinare le identità»). Elogia Cameron, Orbán e ovviamente Putin. Domani sera incontra Berlusconi che ha parlato di un contenitore «più ampio delle sole Forza Italia e Lega»
«Qui c’è gente che arriva dalla Campania e dal Salento, da Roma e dalla Sicilia. Sono tutti fratelli, e se vinciamo, vinciamo tutti insieme». Di più: «Ce ne andiamo con un patto di sangue e di cuore: saremo sempre di più da Nord a Sud. Finché non libereremo questa Italia, noi non molleremo mai». Matteo Salvini celebra la sua Pontida, quella in cui i «fratelli su libero suol» non sono più soltanto padani. E solennizza il patto chiedendo a tutti di stringere la mano al proprio vicino. Già al raduno dell’anno scorso Salvini era il capo della Lega, ma la transizione era agli albori. Ora, è compiuta. E quelli che un tempo erano i «terùn», ora sono i «fratelli».
La nuova Pontida (e la nuova Lega) si propone di tenere tutto, dal militante con l’elmo cornuto, che anche ieri si offriva ai fotografi, insieme con gli eletti salviniani al sud. Assurgono al palco la prima consigliera comunale in Puglia, Stefania Alita, e il sindaco civico campano Nicola Marotta. Ma la loro presenza non è assimilabile a quella dell’ex vicesindaco di Lampedusa, Angela Maraventano, guest star dell’edizione 2007 del raduno. Accanto al vecchio Alberto da Giussano alto quattro metri c’è anche una gigantesca ruspa, icona del salvinismo: il leader e anche la figlia Mirta esibiscono la T-shirt blu con la macchina per spianare. Il padre, però, aggiusta il tiro: la ruspa, prima che a radere al suolo i campi rom, serve «per tirare giù Renzi».
Qualcuno insinua (i soliti giornali) che lo Statuto appena rinnovato della Lega serva a trasformarla in qualcosa di diverso? Garantisce Roberto Calderoli: «Mi sarei fatto tagliare una mano piuttosto che fare uno Statuto nazionale e centralista. La Lega ha sempre una sola finalità, che è quella dell’indipendenza». E pazienza se quando Umberto Bossi fa risuonare l’antico urlo «Padaniaaa», quasi nessuno risponda con il classico «liberaaa...». Certi striscioni («Itaglia di merda, secessione») appaiono tollerati come le solfe del nonno un po’ stordito.
L’opposizione, se c’è, resta Bossi. Sabato Matteo Salvini aveva descritto la differenza tra la sua Lega e quella del fondatore come una questione di voti. L’uomo di Gemonio non lascia cadere: «Noi – dice – non chiediamo i voti per i voti ma per fare le riforme e cambiare il Paese. Spero che la Lega sia ancora così». Ma Salvini, al termine dell’intervento, lo abbraccia.
Poi, il gran finale, è tutto del «Capitano». Duro come previsto con l’Europa, «Unione Sovietica» e «covo di criminali che vogliono assassinare le identità», durissimo con i «criminali che vogliono far tornare la guerra in Europa, quelli che schierano le truppe, magari liberarsi di qualche missile; infilateveli nel c… i vostri missili. E poi saremmo noi i cattivi, 5.000 morti sul fondo del Mediterraneo per dare i soldi a Mafia Capitale». I punti di riferimento internazionali sono semmai David Cameron, Viktor Orbán e, come previsto, Vladimir Putin.
Dopo le cannonate, arriva il sogno. Quello un po’ veltroniano di un «Paese normale», non quello di chi «compra i voti con 80 euro». Cita San Francesco e poi papa Francesco: «Non mi permetterei di attaccare il Papa. Mi fa piacere che a Torino abbia trovato il tempo per incontrare i rom. Sono sicuro che avrà incontrato anche i torinesi esodati». Il leader leghista trova anche il tempo per elogiare alcuni intellettuali non leghisti capaci di ispirarlo: «Buttafuoco, Bagnai, Massimo Fini, Ostellino, Ricolfi e Feltri. Gente libera che combatte il pensiero unico». Sulle alleanze future, Salvini non è cauto: di più. Domani sera incontrerà Silvio Berlusconi, che ieri ha parlato di un contenitore «più ampio delle sole Forza Italia e Lega». Il fondatore azzurro ha ribadito che il patto del Nazareno non esiste più. Ma ha spiegato che «se il Partito democratico presentasse miglioramenti della legge elettorale o della riforma costituzionale, noi voteremmo a favore». Il capo leghista, nel pomeriggio aveva osservato: «Non mi interessano alleanze partitiche». E i suoi ribadiscono la bontà dell’osservazione anche dopo l’uscita berlusconiana.