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 2015  giugno 19 Venerdì calendario

Michael Mandiberg, l’uomo che vuole stampare Wikipedia. L’artista newyorkese per ora ha passato gli ultimi tre anni a mettere su carta l’enciclopedia online, una specie di Treccani dei morti viventi che sta proiettando in una mostra

Chissà se Michael Mandiberg ha letto La Biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges; parrebbe di sì, visto che questo giovane artista newyorchese dall’inequivocabile aria nerd ha trascorso gli ultimi tre anni della vita a stampare le pagine della Wikipedia di lingua inglese per ricavarne dei volumi cartacei, il famoso cartaceo di cui siamo invitati a fare economia, e perfino la Pubblica amministrazione promette di voler presto rottamare. A Mandiberg invece, a forza di stampare, sono resuscitati migliaia di volumi in rilegatura vecchio stile, una specie di Treccani dei morti viventi di cui parecchie pagine vengono proiettate in questi giorni alla Denny Gallery nella mostra From Aaa to Zaaap; le slide di Renzi impallidiscono, eppure si tratta di un semplice frammento del più ambizioso progetto Print Wikipedia che prevede la proiezione di tutte le pagine di tutti e i 7.600 volumi.
Una “wikipazzia” neofuturista quella di Mandiberg che rimanda a due pulsioni gemelle, uguali e contrarie. La recentissima inversione di tendenza dal virtuale al materiale, un’inaspettata nostalgia della materia dopo un ventennio in cui tutto lo smaterializzabile è stato affannosamente smaterializzato, memoria e identità incluse. Ma anche l’ossessione, antichissima, di catalogare lo scibile, svuotare l’oceano e ordinare l’infinito in scaffali necessariamente infiniti a loro volta. Nella Biblioteca Universale di Kurd Lasswitz, il racconto a cui Borges si ispirò per La Biblioteca di Babele, il professor Wallhousen calcola il numero dei libri necessari per costruire un ipotetico luogo in grado di contenere tutte le combinazioni possibili dei caratteri tipografici. Immaginando ogni volume di questa biblioteca composto di 500 pagine, ogni pagina di 40 righe e ogni riga di 50 caratteri, la Biblioteca Universale si viene a comporre di 10 elevato a due milioni di libri. Venendo allaBiblioteca di Babele, è nota la descrizione di Borges: “Un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali… Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno.. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria identica alla prima e a tutte”. Insomma, non proprio bruscolini; e questo sebbene il numero dei simboli ortografici contenuti nei libri si limiti a 25, come se per svuotare l’oceano ci volesse davvero un cucchiaino.
Decisamente Mandiberg è uno che si accontenta, e il suo progetto è solo l’ennesimo scaffale del sogno ricorrente dell’arte contemporanea di circoscrivere, catalogare e schedare l’universo. Nei suoi video e nelle sue installazioni Christian Boltanski non ha fatto altro: ad esempio, in Les abonnés du téléphone 2.639 elenchi del telefono provenienti da tutto il mondo erano stati riuniti nella penombra di un grande ambiente pronti per essere sfogliati, sottratti per un istante all’infinito dell’oblio. Se poi parliamo di libri, non si può non ricordare il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini: una premonizione di Wikipedia prima di Wikipedia, ma anche la reincarnazione dell’Enciclopedie di Diderot e d’Alembert, un codice postleonardesco chiosato nella lingua ignota di un mondo immaginario ma non inesistente, e che anzi proclama a gran voce il potere all’immaginazione.
E ancora non è tutto, siamo solo alla prima galleria, al primo scaffale di Babele. Come ci ha spiegato Umberto Eco, “la vertigine della lista” è un’ossessione costante anche della filosofia, e della letteratura, dall’enumerazione delle navi degli Achei che si radunano sotto le mura di Troia dell’Iliade al catalogo diLeporello, fino agli oggetti del primo cassetto aperto da Leopold Bloom.
Meglio fermarsi qui, perché niente è più infinito della lista delle liste. Mandiberg è uno che si accontenta, ma se avesse letto anche l’Aleph forse avrebbe potuto cavarsela con minor fatica e risparmiare parecchie risme di carta. Questa volta Borges suggerisce che la visione dell’infinito forse non si riceve né in una fuga di prospettive, né nelle migliaia di pagine di una Wikifollia, ma piuttosto in un unico, piccolo punto, se solo si riesce a fissarlo: quel punto “dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”.
A dire il vero, questo lo sospettava anche il signor Palomar di Italo Calvino: “Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante – pensa Palomar… Decide che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita, e finché non li avrà descritti tutti non penserà più di essere morto. In quel momento muore”.