il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2015
Le alternative di Tsipras. L’alleanza trasversale con un Putin anti-Ue e con Orbán, il leader ungherese che caccia i migranti
Per non rimanere schiacciato dalle decisioni dell’Eurogruppo riunito ieri sera per decidere sul destino della Grecia, Alexis Tsipras si è dato un’alternativa: Putin. Il premier greco è volato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo per un colloquio bilaterale con il leader russo. Difficile, dati i tempi e le prospettive di Grexit, che non si parli di aiuti per le casse elleniche. Deluso da Bruxelles, il leader di Syriza guarda da tempo al Cremlino. E non è il solo.
L’elenco degli amici europei di Putin si articola in almeno tre categorie: partiti di destra, di sinistra e perfino governi nazionali dell’Ue. Tralasciando le piccole formazioni, di solito appartenenti alla destra più estrema (per esempio Jobbik in Ungheria), tra i pro-Cremlino vanno collocati il Front National di Marine Le Pen e lo Ukip di Nigel Farage – rivali all’Europarlamento ma uniti nel ‘no’ alle sanzioni decise in seguito alla crisi ucraina e appena prorogate di altri 6 mesi – e la Lega. I legami tra il Front National e Mosca sono stati al centro di uno scandalo: Marine Le Pen ha ricevuto un finanziamento elettorale da una banca vicina al Cremlino, come ha rilevato il sito d’inchiesta francese Mediapart. La Lega ha al suo interno un attivo gruppo di russo-entusiasti, che ha portato più volte a Mosca il leader Matteo Salvini. A sinistra, oltre aSyriza, è lo spagnolo Podemos a essere quantomeno non anti-russo, così come gli autoproclamati “né di destra né di sinistra” 5Stelle (in compagnia, in Italia, di Berlusconi e non solo).
Sul fronte dei governi, apertamente schierati al fianco del leader russo sono sia il premier nazionalista ungherese Viktor Orbán che quello slovacco Robert Fico, i cui Paesi sono legati a Mosca da importanti accordi economici. Budapest, a esempio, ha recentemente ottenuto dalla Russia il rinnovo della fornitura di gas a prezzi di favore, così come la collaborazione per la costruzione di un nuovo gasdotto.
Le preoccupazione sul versante Usa per il potenziale di questo ampio schieramento di forse sono ben espresse da Dalibor Rohac, ricercatore dell’American Enterprise Institute di Washington. “La diffusa consapevolezza che una massa critica di membri dell’Ue… si opponga alle sanzioni – commenta Rohac scrivendo per l’edizione europea della rivista Politico – può certamente far pendere la bilancia in favore dei ‘putiniani’ europei”. Il che dal suo punto di vista sarebbe un “disastro”, perché la revoca delle sanzioni manderebbe a Putin il segnale che l’invasione della Crimea, in fondo, paga, incoraggiando operazioni simili in altre zone tradizionalmente nella sfera di influenza russa, come la Moldavia e i Paesi Baltici.
In questo senso, argomenta ancora l’analista, l’atteggiamento di Roma è straordinariamente ambiguo: “Renzi cerca di stare da una parte e dall’altra. Va al G7, dove si ribadisce che vanno mantenute le sanzioni contro la Russia se gli accordi di Minsk non vengono rispettati. Poi però ospita Putin a Milano parlando della tradizionale amicizia italo-russa”. Un equilibristico ‘ma anche’ delle relazioni internazionali, che certo non deve lasciare Obama del tutto.
La posizione americana, insomma è chiarissima: guai a togliere le sanzioni contro Mosca. Il rischio è però che ancora una volta l’Europa politica si ritrovi schiacciata tra Washington e Mosca. Al crocevia tra due imperi – uno sia pur in declino, l’altro in cerca di rivincita – tra i quali non può, forse non vuole, scegliere.