Corriere della Sera, 19 giugno 2015
Kissinger, Napolitano e i tempi che cambiano. Ma due uomini che sanno rivedere le loro posizioni finiscono sempre per intendersi
Nella conversazione con Paolo Valentino (Corriere, 14 giugno) l’ex presidente della Repubblica Napolitano cita, anche se in maniera dubitativa, la risposta che Henry Kissinger avrebbe dato a un capo di Stato italiano che aveva «spezzato una lancia in favore del Pci»: «Comunisti? Sono tutti uguali». Facevo parte della delegazione italiana nel corso della visita ufficiale del presidente Giovanni Leone negli Stati Uniti (settembre 1974) e in quella occasione furono numerose le prese di posizione dell’ex Segretario di Stato sullo stesso argomento. C’era a Washington una forte preoccupazione sulla situazione in Italia in preda ad una grave crisi politica ed economica. Era palpabile il timore per un progressivo coinvolgimento dei comunisti nell’azione governativa ed il ventilato compromesso storico era ritenuto una deprecabile eventualità che andava scoraggiata. Sia il presidente Leone che il ministro degli Esteri Moro che l’accompagnava, si adoperarono abilmente se non proprio a dissipare, a ridimensionare le ansie americane. Ma negli incontri tra le due delegazioni e segnatamente nei colloqui di Kissinger con Moro la diffidenza verso le scelte della politica dell’Italia erano ben presenti. Significativo quanto riferito da uno stretto collaboratore del ministro italiano sulla reazione di Kissinger alle argomentazioni morotee sulle quali tagliò corto affermando che se fosse stato cattolico avrebbe creduto nel Dogma dell’Immacolata Concezione, ma poiché non era cattolico, non credeva a quel dogma né all’evoluzione democratica dei comunisti italiani.
Francesco Mezzalama
Caro Mezzalama,
Grazie per i suoi interessanti ricordi. Nella vicenda delle relazioni di Kissinger con l’Italia, le date sono molto importanti. Quando Leone e Moro giunsero a Washington nel settembre 1974, il presidente Richard Nixon si era dimesso da pochi mesi, il nuovo presidente era Gerald Ford e Henry Kissinger assicurava dal Dipartimento di Stato la continuità della politica estera americana. Negli anni precedenti, Kissinger era stato spesso l’uomo del dialogo, soprattutto con la Cina, ma non aveva smesso di considerare le infiltrazioni comuniste nelle società occidentali (vere o presunte) come una minaccia a cui occorreva reagire con fermezza. Ne aveva dato prova un anno prima quando aveva certamente fatto del suo meglio per favorire la caduta del governo di Salvador Allende in Cile.
Conosceva le «Riflessioni dopo i fatti del Cile» che Enrico Berlinguer aveva pubblicato in tre puntate su Rinascita fra il settembre e l’ottobre nel 1973? Forse no, ma certamente sapeva che quegli articoli avevano suscitato in Italia un dibattito nazionale sulla ipotesi di un compromesso storico fra la Democrazia cristiana e il Partito comunista: una prospettiva che avrebbe fatto dell’Italia, secondo Kissinger, una quinta colonna sovietica nel cuore dell’Europa. La politica del suo successore al Dipartimento di Stato, Cyrus Vance, non fu sostanzialmente diversa. Berlinguer aveva riconosciuto l’utilità della Nato in una intervista al Corriere del 15 giugno 1976 e un anno dopo, in occasione del sessantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, aveva dichiarato che la sua «spinta propulsiva» si era ormai esaurita. Ma nel gennaio del 1978, quando i comunisti, dopo avere sostenuto il governo Andreotti, misero all’ordine del giorno il problema della loro partecipazione all’Esecutivo, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma e il Dipartimento di Stato rilasciarono comunicati che suonarono come altrettanti divieti.
Qualcosa, tuttavia, si stava muovendo. Quattro mesi dopo, nell’aprile del 1978, Giorgio Napolitano poté accettare l’invito che gli era stato indirizzato da alcune università americane: il suo visto per gli Stati Uniti fu il primo concesso a un dirigente del Partito comunista italiano. Nella sua intervista a Paolo Valentino ( Corriere, 14 giugno), Napolitano ha detto che il suo primo incontro con Kissinger ebbe luogo verso la metà degli anni Ottanta e fu subito cordiale. Non ne sono sorpreso. Kissinger faceva un altro mestiere ed era troppo intelligente per ignorare che anche i tempi stavano cambiando; e anche Napolitano, nel frattempo, era certamente cambiato. Due uomini che sanno rivedere le loro posizioni finiscono sempre per intendersi.