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 2015  giugno 19 Venerdì calendario

Fabrizio Corona esce dal carcere. Dopo due anni e quattro mesi passati in cella potrà trascorre gli ultimi sei in affidamento terapeutico alla comunità Exodus di don Mazzi: «Finalmente. Grazie, grazie. Sono felice». L’ex re dei paparazzi era stato condannato a una pena di oltre 13 anni che, seppure tecnicamente ineccepibile, a molti appare spropositata per il tipo di reati e per il contesto in cui sono stati commessi

Dopo due anni, 4 mesi e 23 giorni di carcere Fabrizio Corona lascia la cella per curarsi dalla dipendenza dalla cocaina in una comunità di recupero. Il giudice di sorveglianza Giovanna Di Rosa concede all’ex re dei paparazzi di trascorre gli ultimi sei anni di pena in affidamento terapeutico alla comunità Exodus di don Mazzi con un provvedimento che è una forte apertura di credito nei confronti di un personaggio che ha fatto della sregolatezza, dell’eccesso e dei colpi di testa la cifra della sua vita, ma che è stato condannato a una pena di oltre 13 anni che, seppure tecnicamente ineccepibile, a molti appare spropositata per il tipo di reati e per il contesto in cui sono stati commessi. 
«Finalmente. Grazie, grazie. Sono felice», ripete meccanicamente Corona felicissimo uscendo dal carcere di Opera con l’avvocato Ivano Chiesa, che incassa il risultato con la collega Antonella Calcaterra. Non sono stati gli appelli alla grazia o la perizia psichiatrica a fargli riottenere la libertà, ma quella dipendenza dalla droga che solo negli ultimi tempi aveva cominciato ad ammettere. 
Calcolando quanto ha già scontato e la «liberazione anticipata» per buona condotta (150 giorni di sconto per ciascun anno di pena) a Corona sono rimasti meno di sei anni di carcere, limite sotto il quale i tossicodipendenti possono andare in comunità. È stato condannato per diversi reati tra cui quelli legati alla bancarotta della società Fenice e ai ricatti a colpi di foto compromettenti, come l’estorsione aggravata ai danni dell’ex calciatore della Juventus David Trezeguet che gli costò 5 anni di carcere e che, teoricamente, impediva la concessione di benefici. Un ostacolo che il giudice Di Rosa ha ritenuto superabile con un complesso ragionamento tecnico-giuridico che si fonda sui principi costituzionali di «ragionevolezza» e di «funzione risocializzante della pena» e che sarà esaminato dal Tribunale di sorveglianza. Ci sono poi due relazioni favorevoli all’affidamento terapeutico: una del carcere, che esclude la pericolosità sociale di Corona, l’altra della Asl, che attesta la tossicodipendenza. I difensori avevano anche affrontato la strada della incompatibilità con il carcere per problemi psichiatrici con una perizia secondo la quale Fabrizio Corona in cella rischia di precipitare in una psicosi che fino ad ora solo i farmaci e lo psicologo sono riusciti a contenere. Secondo gli esperti, in carcere Corona ha capito quanto era sbagliato il suo «mondo di provenienza» ed ora può marciare verso «una graduale integrazione familiare, sociale e lavorativa» perché è «orientato al cambiamento nel rapporto con le istituzioni». L’affidamento alla comunità «può costituire, oltre a un necessario percorso di cura, anche un momento di ripresa delle relazioni con il figlio». C’è il rischio che provi a fuggire, come fece quando la condanna divenne definitiva andando a rifugiarsi in Portogallo? Per il giudice no, perché quello era un episodio che faceva parte di «un contesto di vita superato dalla successiva condotta tenuta durante la detenzione». 
Ora deve cambiare il «suo stile di vita» adempiendo «puntualmente agli obblighi di assistenza familiare» e «adoperarsi per quanto possibile in favore delle vittime dei reati». Ce la farà a seguire il programma di recupero, a non uscire dalla comunità se non quando autorizzato, a non girare la notte? «Ne sono certissimo. Sa che è stata fatta giustizia», assicura Chiesa proprio mentre lui con un tweet annuncia: «Ora si riparte».