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 2015  giugno 19 Venerdì calendario

Sono nulle le multe degli autovelox «mobili». Lo dice la Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità degli strumenti di controllo che non sono sottoposti a verifiche periodiche. Censurati i rilevatori usati dalle pattuglie. Ora sono in gioco centinaia di migliaia di verbali di contravvenzioni ancora non pagati. Ecco tutto quello che c’è da sapere

Le multe prodotte dagli autovelox che non vengono controllati periodicamente sono illegittime. A dirlo è la Corte costituzionale, che nella sentenza 113/2015 depositata ieri (presidente Criscuolo, relatore Carosi) ha bocciato le regole del Codice della strada nella parte in cui non prevedono che tutti gli apparecchi «siano sottoposti a verifiche periodiche di funzionalità e taratura»: un’altra sentenza ricca di effetti sui conti pubblici, questa volta in termini più di mancate entrate che di maggiori uscite, che si redistribuiranno però in buona parte sui bilanci dei Comuni più attivi sul versante autovelox. In gioco ci sono centinaia di migliaia di verbali non ancora pagati (per quelli già pagati la partita è chiusa), fetta rilevante di una voce, quella delle multe, che solo ai Comuni frutta circa 1,2 miliardi all’anno.
Attenzione, però, prima di stracciare la multa appena notificata (o, più probabilmente, prima di fare ricorso, perché difficilmente le amministrazioni si fermeranno da sole), perché la bordata dei giudici delle leggi non cancella tutti i verbali. Per capire meglio l’ambito colpito dalla nuova sentenza bisogna dividere gli autovelox in due famiglie: la prima è rappresentata dagli apparecchi “accompagnati” dalla pattuglia, mentre la seconda abbraccia quelli che vengono piazzati sulle strade e lasciati lì a funzionare in automatico. Questo secondo gruppo, in genere, dovrebbe essere sottoposto alle verifiche periodiche, perché lo prevedono i principi fissati dal ministero delle Infrastrutture nel 2005 a integrazione del decreto ministeriale del 29 ottobre 1997. Questo decreto, ricorda la sentenza della Consulta, esclude la necessità di verifiche periodiche per gli strumenti «impiegati sotto il controllo costante degli operatori di polizia stradale». A finire sotto la tagliola, quindi, sarebbero le centinaia di migliaia di verbali che ogni anno nascono dalle fotografie degli apparecchi presidiati.
Le multe nate dagli apparecchi presidiati, interessati dalla sentenza, si possono riconoscere perché sul verbale ci sono scritte frasi del tipo «l’infrazione è stata accertata da pattuglia composta dagli agenti X e Y», mentre in quelle generate dagli apparecchi senza pattuglia c’è scritto prima di tutto il riferimento alla legge che le autorizza (l’articolo 4 della legge 168 del 2002) oppure, fuori dalle autostrade e dalle strade extraurbane principali, al decreto del Prefetto che individua il tratto come assoggettabile a controlli automatici.
La Corte costituzionale, accogliendo la tesi della «palese irragionevolezza» della norma (articolo 45, comma 6 del Codice della strada) che non prevede l’obbligo di verifica periodica per tutti gli autovelox e quindi muovendosi in senso contrario a parecchie pronunce della Cassazione, ha respinto al mittente la fondatezza di questa ripartizione fra autovelox “automatici” (controllati periodicamente) e apparecchi usati direttamente dalle pattuglie (esentati dai controlli). Tutti gli apparecchi, tagliano corto i giudici, devono essere sottoposti a verifica.
Fino a oggi, invece, il riferimento è stato di fatto ai manuali d’uso degli apparecchi, che possono prevedere verifiche (in genere annuali). Un principio fissato nel 2005 dal ministero per “turare la falla” aperta da molti giudici di pace, che accoglievano molti ricorsi legati alla taratura.
All’epoca non c’erano abbastanza laboratori accreditati per “tarare” tutti i misuratori di velocità attivi in Italia, quindi si scelse di diminuire la platea. La motivazione era che, quando un apparecchio viene presidiato da un agente, questi può accorgersi se qualcosa non va. Tesi smontata dalla Consulta.
D’altra parte, dubbi li aveva lo stesso ministero, che per il modello all’epoca più utilizzato dalle pattuglie (Autovelox 104 C2) di fatto prescrisse le verifiche anche in caso di uso presidiato. La Polizia stradale fa verificare anche gli Autovelox usati dalle pattuglie, ma non anche le pistole laser puntate di volta in volta dagli agenti sui veicoli in avvicinamento.
Più variegata la situazione presso le polizie locali, che effettuano la maggior parte dei controlli di velocità. Occorre in ogni caso vedere se l’apparecchio utilizzato è stato sottoposto a verifica. A volte ciò è riportato nel verbale. Altre volte occorre chiedere al corpo di polizia l’esibizione del documento. Alcuni richiedono di esibirlo direttamente al giudice di pace, perché presentano subito ricorso e non di rado questa strategia premia perché le amministrazioni non sono in grado di portare il certificato in udienza.

Maurizio Caprino e Gianni Trovati

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L’intervento della Corte costituzionale è di quelli davvero incisivi, le cui conseguenze sono non solo destinate a protrarsi nel tempo, ma altresì a generare, prevedibilmente, una nutrita serie di disparità applicative.
Proviamo a porci nell’ottica del trasgressore colpito da un verbale per eccesso di velocità. In primo luogo dobbiamo considerare che l’interessato spesso non è in grado di ricavare dal verbale se e quando l’apparecchiatura di rilevamento dell’infrazione sia stata sottoposta a verifica periodica o meno. Tale osservazione, assolutamente banale, diviene fondamentale se si pensa alla possibilità di impugnare il verbale di violazione e proporre un ricorso. Infatti, rivolgendosi alla prefettura competente per territorio, il rischio è quello di trovarsi a pagare una sanzione quantomeno doppia rispetto a quella originaria, mentre di fronte al giudice di pace è previsto il preventivo esborso del contributo unificato oltre al rischio, evidentemente, di subire una condanna. Si tratta quindi di capire come procedere laddove vi fosse il sospetto di aver ricevuto una sanzione amministrativa incongruente rispetto alla velocità effettivamente tenuta nel momento del rilevamento, ritenendo che l’apparecchiatura non fosse stata controllata da tempo e, pertanto, risultasse starata al momento della rilevazione della velocità.
Premesso che azzardare un ricorso sulla base di sensazioni non è certamente consigliabile, l’informazione sulla taratura del rilevatore di velocità è in possesso esclusivamente dell’organo di polizia che ha proceduto al controllo. Di conseguenza, il destinatario del verbale potrà richiedere tale informazione direttamente, avendo tuttavia cura di muoversi con celerità, al fine di non far scadere i termini di proposizione dei ricorsi (30 giorni di fronte al Giudice di pace, 60 nel caso di ricorso al Prefetto, a partire dalla data di notificazione o contestazione del verbale) che, anche in caso di richiesta di delucidazioni, non subiscono interruzioni o sospensioni di alcun tipo. Tuttavia, il fatto che le apparecchiature non siano state sottoposte a verifica sia sufficiente a determinare l’archiviazione o l’annullamento del verbale, allo stato attuale, è ancora dubbio. La Consulta ha sancito l’illegittimità costituzionale di una lettura dell’articolo 45, che rimane orfano di una previsione regolamentare specifica riguardante i misuratori di velocità; è pur vero che, nei decreti di approvazione delle apparecchiature, si fa riferimento ai relativi manuali di istruzione per quanto riguarda la taratura, con delega dell’obbligo di verifica agli organi di polizia stradale che le utilizzano. Di conseguenza, il semplice rispetto del manuale di istruzioni, dovrebbe essere ritenuto sufficiente per quanto riguarda l’affidabilità dell’apparecchiatura.
Merita di essere menzionato il precedente costituito dalla sentenza del Tribunale di Cassino del 15 novembre 2010, che ha annullato un verbale per eccesso di velocità in considerazione che l’apparecchiatura non era stata sottoposta a verifica secondo quanto previsto dal manuale di istruzioni al quale faceva riferimento il ministero competente nel decreto di omologazione. La situazione si prospetta davvero magmatica. Diverso, e senza speranza, il caso di chi avesse già pagato la sanzione: per la giurisprudenza, il pagamento definisce in maniera irreversibile l’obbligazione derivante dalla violazione.
Silvio Scotti