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 2015  giugno 19 Venerdì calendario

Ecco come cambia il sistema di appalti. Dal Senato primo sì a larga maggioranza alla riforma. Più poteri all’Anac, alt a deroghe e varianti, semplificazione, rating per imprese e Pubblica amministrazione. Raffaele Cantone: «Con il nuovo codice legalità e rilancio. Pronti all’ampliamento di poteri»

Primo semaforo verde per la riforma appalti. Il Senato ieri mattina ha approvato in prima lettura, con 184 sì, due no e 42 astensioni, il disegno di legge delega che recepisce le direttive europee in materia di contratti pubblici. Si completa, così, con un voto a larga maggioranza, un lavoro durato sei mesi, cui hanno partecipato da vicino anche le opposizioni. Il testo è stato incardinato lo scorso gennaio presso la commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama. E, adesso, deve ancora compiere due passaggi importanti: il vaglio della Camera per la seconda lettura e l’attuazione attraverso il decreto delegato, al quale stanno già lavorando i tecnici del Governo. Per il ministero delle Infrastrutture Delrio «è il primo passo di una svolta vera per i lavori pubblici». Mentre per il viceministro Riccardo Nencini che ha seguito più da vicino il disegno di legge si tratta «di una legge che potenzia trasparenza e vigilanza».
Il testo esce radicalmente rivisitato rispetto al Ddl presentato dall’esecutivo. È entrato con 14 criteri di delega ed è uscito arrivando a quota 53. Un lavoro di aggiunte e limature condotto dal relatore Stefano Esposito (Pd), che è andato avanti fino a ieri, quando sono state portate le ultime correzioni pesanti. «Consegniamo alla Camera una legge che unisce legalità e sviluppo del mercato», ha sottolineato.
Tra le correzioni di ieri spicca il taglio delle stazioni appaltanti che oggi, secondo le stime più accreditate, sono almeno 36mila. Vengono introdotti due tetti: sopra i 100mila euro i Comuni non capoluogo dovranno aggregarsi per fare le gare, mentre sopra le soglie comunitarie (5,2 milioni per i lavori e 200mila euro per servizi e forniture) dovranno passare da centrali di committenza unificate a livello regionale o di provincia autonoma.
La seconda novità di giornata riguarda il passaggio che impone alle concessionarie (autostradali e non) di mandare in gara tutti i lavori, i servizi e le forniture relativi alla loro gestione. Adesso sono obbligati a mettere sul mercato una quota del 60%. L’emendamento votato dall’Aula prevede alcune eccezioni: le nuove regole non valgono sotto i 150mila euro, nei casi di project financing e per «le concessioni in essere affidate con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Ue». La terza novità è relativa alle autostrade. La regola generale è che non ci saranno proroghe d’ufficio per le concessioni in essere, con una eccezione: sono escluse le società nelle quali il controllo sia appannaggio di soggetti pubblici. Una formulazione che consentirà un prolungamento senza gara per Autovie venete e Autobrennero. Arriva anche una forte stretta sull’in house. Viene istituito, presso l’Anac, un elenco di enti controllati da pubbliche amministrazioni ai quali sarà possibile affidare i contratti senza gara.
Guardando alle novità approvate nelle scorse settimane, il cuore della riforma è l’estensione e il rafforzamento dei poteri affidati all’Anac guidata da Raffaele Cantone. Un passaggio in cui non è difficile intravedere il riflesso delle tante inchieste sulla corruzione che hanno attraversato il mondo degli appalti negli ultimi mesi: dal sistema Incalza-Perotti scoperchiato dalla procura di Firenze allo scandalo Mafia Capitale. Con la riforma, Cantone sarà dotato di poteri di intervento cautelari (possibilità di bloccare in corsa gare irregolari) e potrà chiedere alle stazioni appaltanti di annullare le gare in odore di corruzione prima di attivare i commissariamenti, mentre il rispetto degli atti di indirizzo al mercato (bandi-tipo, linee guida, pareri) diventerà vincolante per amministrazioni e imprese. In questa chiave va anche letta la nascita di un albo nazionale dei commissari di gara e il divieto espresso di prevedere scorciatoie normative, bypassando o semplificando le gare, per la realizzazione di grandi eventi. Le deroghe potranno essere ammesse soltanto in risposta a fenomeni di calamità naturale. Dunque, niente nuovi casi Expo (con circa 90 deroghe).
Per frenare la deriva dei tempi infiniti dei cantieri arriva la stretta sulle varianti da cui passa l’aumento dei costi in due casi su tre nelle grandi opere, con la possibilità di rescindere il contratto oltre certe soglie di importo. Anche le infrastrutture dovranno adeguarsi a costi standard. Con progetti definiti prima di arrivare al cantiere. La delega investe sulla valorizzazione della fase progettuale, vietando le aggiudicazioni al massimo ribasso e limitando la possibilità di affidare insieme progetto e lavori solo a casi di particolare rilievo tecnologico. Inoltre le grandi opere dovranno essere capaci di guadagnarsi il consenso sul campo («débat public»). Mentre le imprese saranno valutate anche sulla base della reputazione guadagnata in cantiere (rispetto dei tempi e bassa vocazione al contenzioso) legata al rating di legalità.

Giuseppe Latour e Mauro Salerno

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Raffaele Cantone è pronto ad abbandonare i panni del supercommissario straordinario anticorruzione per diventare il nuovo snodo centrale del sistema ordinario degli appalti. A lui la riforma degli appalti varata ieri dal Senato affida un nucleo di poteri di regolazione soft che dovrebbe dare una marcia in più al nuovo sistema, aiutandolo sulla strada della delegificazione e della semplificazione. «Un sistema – dice Cantone – che tenga insieme legalità e rilancio del settore perché mi pare che ormai sia un patrimonio di tutto il Paese aver capito che il vecchio modello di realizzazione dei lavori pubblici non solo produceva illegalità diffusa, ma comportava anche spreco di risorse e impasse per le imprese». Cantone è convinto che se oggi il Parlamento gli riconosce questo nuovo ruolo ampliato è proprio perché ha gestito anche le fasi straordinarie, come quelle dell’Expo, non con i panni dello «sceriffo» ma con l’obiettivo di coniugare la legalità e la continuazione dei lavori, senza perdere occupazione.
Presidente Cantone, che valutazioni dà della legge approvata al Senato?
Il primo messaggio importante che arriva dal Parlamento e che mi pare giusto sottolineare è che la legge è stata approvata con una larga maggioranza e sostanzialmente senza voti contrari. Questo significa che il Parlamento nel suo complesso, le singole forze politiche, i singoli parlamentari, a partire ovviamente dai relatori che hanno fatto un ottimo lavoro, hanno perfettamente capito le sfide che sono alla base di questo nuovo codice in termini di contrasto all’illegalità, di rilancio di un settore fondamentale dell’economia e anche di forte innovazione. È una pagina politica molto bella che non mi pare abbia precedenti in questa legislatura. Per altro fa sperare che anche nel passaggio successivo alla Camera ci sia altrettanta condivisione.
Questo fa pensare che il mix di legalità e di rilancio dell’economia viene ormai avvertito come una questione nazionale?
Mi pare che ci sia un accordo generalizzato nel Paese che il vecchio modello di realizzazione dei lavori pubblici costituisca ormai una palla al piede per l’Italia, non solo per la illegalità diffusa e per la mancanza di correttezza, ma anche in termini di risorse sprecate, di immagine del Paese all’estero, di opere che restano incompiute sul territorio. Al tempo stesso, anche chi non scommette sul cemento, e io sono uno di quelli, sa ormai perfettamente che rimettere in moto davvero questo settore, in un quadro di ritrovata legalità, significa dare una spinta decisiva all’economia italiana.
Queste norme aiuteranno la lotta alla corruzione e all’illegalità?
Certamente questa legge è uno strumento per contrastare l’illegalità. Per altro, i principi di delega sono molto più dettagliati nel testo che esce dal Senato rispetto a quello che vi era entrato. Viene favorita la trasparenza, c’è l’opzione di un sistema di regolazione che non sia in eccesso, c’è il divieto di deroghe per il futuro, si scommette su una regolazione meno legislativa rafforzando altre forme di regolazione più blanda.
Qui entriamo nel vivo del ruolo dell’Autorità che lei presiede. I vostri poteri vengono notevolmente rafforzati e ampliati e diventate uno snodo centrale del nuovo sistema.
Mi faccia dire anzitutto che verso questa Autorità è venuta da tutto il Parlamento un’apertura di credito senza precedenti di cui vado fiero, tanto più se penso che praticamente questa Autorità ha un anno di vita. Penso che questa decisione sia anche il risultato del lavoro che abbiamo svolto in questi mesi. Ovviamente il testo del Senato per noi è anche una sfida che intendiamo raccogliere a 360 gradi.
Lei finora è stato visto come lo sceriffo anticorruzione chiamato a intervenire in casi di grave patologia, adesso deve fare il regolatore, diventare cioè il centro di un sistema ordinario. Una bella sfida e anche un cambiamento di pelle.
Cominciamo a dire che lo sceriffo anticorruzione qui non si è proprio visto neanche in questo anno di attività. Se nessuno ha avuto da ridire a questo ampliamento di poteri dell’Autorità, neanche nel mondo imprenditoriale, è perché il nostro lavoro di questo anno è stato percepito come un lavoro di vigilanza e di controllo collaborativi, orientati certamente al ripristino della legalità ma anche alla continuazione dei lavori. L’esperienza dell’Expo dice che gli appalti si sono fatti e i lavori sono stati completati in velocità, risultato che non si sarebbe ottenuto con nessuna opzione alternativa. Anche rispetto a certe preoccupazioni che arrivavano dal mondo imprenditoriale sui commissariamenti e sui poteri del decreto 90, la risposta data con il nostro lavoro credo abbia rassicurato. Abbiamo consentito alle imprese di continuare i lavori senza perdere manodopera. Questo cambio di passo è stato avvertito. Non siamo mai stati e non siamo nemici delle imprese, ma dell’illegalità.
Secondo lei si capisce sempre più che la legalità favorisce lo sviluppo dell’economia?
All’interno del mondo imprenditoriale è sempre più chiaro che la legalità non ha solo una dimensione morale, ma è anche un modo per uscire dall’impasse del sistema delle grandi incompiute. L’impresa intelligente ha capito che, tranne pochi disonesti, l’illegalità ha paralizzato il sistema e ha danneggiato gravemente tutte le imprese sane.
Veniamo al vostro ruolo futuro di regolatori. Quali norme aiuteranno il sistema a ripartire?
Per entrare nell’esame dettagliato delle norme conviene attendere forse che la legge sia definitiva. Penso però all’importanza per il sistema di passare da una regolazione tutta legislativa al valore che ha invece rafforzare forme di regolazione blanda o soft come quella che noi possiamo esercitare per esempio attraverso i bandi-tipo o intervenendo nei singoli casi per garantire la trasparenza, la legalità ma anche lo svolgimento effettivo di un lavoro. Tra gli altri poteri di grande importanza che la legge ci assegna basta citare – per dire come legalità e mercato procedano insieme – quelli sulla composizione delle commissioni aggiudicatrici, che saranno estratte a sorte sulla base di una lista di nomi fornita da noi. Oppure i nuovi sistemi di qualificazione per le stazioni appaltanti e per le imprese, tenendo conto dei rating di prestazione e di legalità.
C’è una norma specifica su cui vorrei chiedere la sua valutazione. Quella che, sempre nell’ambito dei poteri di commissariamento di imprese sotto inchiesta, vi dà la possibilità di chiedere alla stazione appaltante una revoca dell’appalto prima di procedere al commissariamento.
Quella norma non aggiunge molto, in realtà, rispetto all’attuale quadro normativo. Semmai vuole ribadire quello che diciamo anche noi, il carattere straordinario del commissariamento.
Torniamo al tema del passaggio che il Parlamento vi chiede da attore straordinario che contrasta le patologie ad attore che regola il sistema ordinario.
Ha ragione, questa per noi è la vera sfida.
Riuscirete a farvi fronte con le risorse che avete oggi?
Una volta fatto definitivamente il codice dovremo certamente capire quale possa essere l’impatto sulla nostra attività e come organizzare l’esercizio dei nuovi poteri che ci vengono affidati. Noi abbiamo fatto fronte già in questo anno a un aumento di attività: abbiamo una quantità di richieste di protocolli di vigilanza collaborativa da parte di amministrazioni pubbliche che rischia di sommergerci. E questo lo abbiamo fatto mettendo in conto nel bilancio preventivo un abbattimento dei costi del 25% superiore al 20% che ci chiedeva la legge. Mi fa piacere ricordare che eravamo arrivati a una riduzione di costi del 29%, grazie al taglio di sprechi, consulenze esterne ad personam, eccetera, ma abbiamo usato una parte di questi risparmi per rinunciare ai prepensionamenti che avevamo programmato. Tanti ci hanno chiesto di restare a lavorare con noi e anche questo è un fatto di cui vado fiero.
Giorgio Santilli