Il Sole 24 Ore, 18 giugno 2015
Crescono i consumi di petrolio, ma c’è troppa produzione: milioni di barili a bordo di petroliere non riescono a trovare un acquirente. A un anno dal crollo però per la benzina margini di raffinazione da record anche in Europa
A un anno esatto dall’avvio del crollo delle quotazioni del petrolio, la domanda si è risvegliata con un vigore che sta sorprendendo gli analisti. Ma la crescita dei consumi di carburante, legata in parte alla ripresa economica e in parte (soprattutto negli Stati Uniti) alla discesa dei prezzi alla pompa, non è stata finora sufficiente a riequilibrare il mercato. L’eccesso di greggio è anzi più che raddoppiato: da 1,1 milioni di barili al giorno nel secondo trimestre del 2014 a oltre 2 mbg. Secondo stime del governo Usa il trimestre in corso si avvia a concludersi con un surplus di addirittura 2,6 mbg, che rischia di impiegare molto tempo per dissiparsi.
Basta osservare le condizioni del mercato fisico per rendersi conto della debolezza dei fondamentali, che in prospettiva potrebbe scatenare un nuovo crollo del prezzo del barile, oggi risalito oltre 60 dollari, dopo essere sceso da un picco di 115 $ nel giugno dell’anno scorso a meno di 45 $ negli giro di sei mesi. Al largo dell’Africa Occidentale e nel Mare del Nord ci sono numerose petroliere cariche di petrolio che non riesce a trovare un acquirente: una sorta di stoccaggio involontario, che sta schiacciando verso il basso le valutazioni di diverse varietà di greggio. Il differenziali di prezzo di Brent ed Ekofisk sono ai minimi da dieci anni, mentre alcuni greggi nigeriani sono ai minimi da oltre 5 anni.
Eppure le raffinerie stanno lavorando a pieno ritmo, persino in Europa, dove un settore fino a poco tempo fa agonizzante sta ora godendo dei margini più ricchi da otto anni a questa parte: oltre 25 $/barile per la produzione di benzina, con ulteriori possibilità di rialzi almeno fino a settembre secondo gli analisti. «La domanda di benzina è estremamente forte in tutto il mondo – sostiene Robert Campbell, di Energy Aspects – e l’Europa è la principale fonte di esportazioni». In America Latina e Medio Oriente ci sono infatti diversi impianti fermi e il mercato per le benzine nostrane è tornato ad essere molto favorevole, anche se nel Vecchio Continente i consumi non brillano come altrove. In Italia in particolare le statistiche diffuse ieri dall’Unione Petrolifera indicano un calo del 4,5% per le vendite di benzina e diesel in maggio, mentre per i primi 5 mesi l’incremento è stato solo dello 0,4%.
Ben diversa la situazione oltre Oceano, dove i consumi stanno superando le attese: 9,4 mbg di benzina nelle ultime 4 settimane (+3,3%) secondo l’Eia, che tuttavia ieri ha sorpreso il mercato registrando per la settimana scorsa una frenata delle raffinerie (dal 94,6 al 93,1% della capacità) e un contemporaneo inatteso accumulo di scorte di carburante (+0,5 mb di benzine e +0,1 mb di distillati a fronte di un nuovo calo di 2,7 mb degli stock di greggio).
Il problema è che appare difficile che i consumi petroliferi possano mai correre così tanto da assorbire l’eccesso di domanda. Negli ultimi 12 mesi l’Opec non solo si è astenuta dal ridurre la produzione a sostegno dei prezzi, ma ha accelerato in modo clamoroso l’estrazione, aggiungendo oltre 1 mbg sul mercato. Altri ne potrebbero arrivare molto presto se a fine mese l’Iran verrà sollevato dalle sanzioni occidentali: dai movimenti delle petroliere si stima che Teheran abbia accumulato fino a 40 mbg di greggio in mare, pronti per essere venduti, o forse anche svenduti, pur di riguadagnare in fretta le quote di mercato perdute.
Intanto il concorrente principale dell’Opec – gli Stati Uniti del miracolo shale oil – nell’ultimo anno non si è fatto da parte: l’output ha solo rallentato la crescita e anche se nei prossimi mesi dovrebbe finalmente esserci una diminuzione – legata al drastico calo delle trivelle in attività – la convinzione prevalente è che non sarà molto marcata e forse nemmeno duratura.