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 2015  giugno 18 Giovedì calendario

Ma che cosa succede, in pratica, se domani la Grecia fallisce? Ecco quattro scenari, dal più negativo al più ottimistico. L’ipotesi migliore è il default dello Stato e non dei privati. La peggiore prevede il collasso del sistema bancario, la crisi dei cambi, inflazione, profonda recessione, drastica riduzione dei redditi, l’aumento della disoccupazione e l’’uscita dall’euro

Che cosa accadrebbe alla Grecia e al suo popolo, in caso di «no» alle richieste dei creditori, di default del debito pubblico, e di uscita dall’euro? Proponiamo quattro scenari, dal più negativo al più ottimistico.
«Sarà un disastro totale»
È la tesi di Yannis Stournaras, numero uno della Banca di Grecia (ed ex ministro del Tesoro del governo conservatore). La Grexit provocherebbe «una crisi incontrollabile, grandi rischi per il sistema bancario, crisi dei cambi, inflazione, profonda recessione, drastica riduzione dei redditi, l’aumento della disoccupazione». E forse anche l’uscita dall’Unione Europea.
Come una patrimoniale
«Sarebbe una tragedia – spiega Pietro Reichlin, economista della Luiss – le esperienze di uscita da accordi di cambio di altri paesi, come l’Argentina, mostrano che specie all’inizio ci saranno effetti drammatici». Il Grexit si tradurrà in una svalutazione della nuova moneta, cui si accompagnerà una forte inflazione. L’effetto potrebbe essere paragonabile all’introduzione di una pesante patrimoniale – sotto forma di conversione obbligata dei risparmi da euro a nuova dracma – che colpirà in modo pesante i patrimoni relativamente piccoli. Quelli che non sono stati portati all’estero. Successivamente poi l’inflazione mangerà il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori dipendenti. Se la caveranno meglio i ricchi, che hanno già esportato le loro ricchezze altrove. «Si avvantaggeranno le imprese che esportano – è la conclusione – ma non sono molte per adesso».
Un rischio calcolato
«Tutto dipenderà se si tratterà di una operazione concordata e gestita; se non sarà preparato, la Grexit potrebbe provocare conseguenze imprevedibili e molto pericolose». Questa è l’opinione di Mario Pianta, economista dell’Università di Urbino e grande critico delle politiche di austerità. Un conto, dunque, è se l’eventuale Grexit non verrà attuata in modo coordinato con l’Europa e la Bce. In questo caso si possono immaginare scenari gravissimi, compresa una destabilizzazione democratica della Grecia. In caso diverso, invece, il Paese si ritroverà senza più debito pubblico e privato. Il deficit commerciale resterà molto alto, ma i bisogni essenziali di generi importati (come il petrolio) potranno essere assicurati con l’aiuto di valuta estera fornita inizialmente da Russia e Cina. Nel giro di sei mesi- un anno si potrebbe arrivare a una stabilizzazione della situazione, che favorirebbe il rientro dei capitali esportati dai greci all’estero. La forte svalutazione prevedibile (intorno al 40%) renderebbe molto competitiva l’economia greca, se si riusciranno ad avviare nuovi investimenti industriali.
Meglio il default
Questa è la tesi d i Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times. Già oggi la Grecia ha un debito insostenibile; se accettasse i tagli richiesti dall’ex-Trojka, dopo 4 anni il debito arriverebbe al 200% del Pil. Meglio il default pubblico (non quello di banche e privati, però): si ripartirebbe «puliti» e potendo praticare politiche economiche espansive di immediato risultato, facilmente finanziabili con mezzi propri. E sarebbe relativamente facile trovare risorse sui mercati privati. E infine, essendo la Grecia un’economia «chiusa», che produce tre quarti del Pil internamente, ci sarebbero effetti negativi gestibili. Mentre la svalutazione favorirebbe molto export e turismo. Sempre che il passaggio alla nuova dracma sia gestito senza caos.