Libero, 17 giugno 2015
Tra Jeb Bush e la Clinton spunta Donald Trump. L’immobiliarista di successo parla poco da politico e molto da spaccone (ma sincero). Siamo arrivati così al dodicesimo candidato repubblicano per la Corsa alla Casa Bianca
Oggi al lotto del Gop si è aggiunto il dodicesimo candidato. Non uno dei tanti, ma l’unico a non avere problemi ad essere lo smargiasso che è: Donald Trump, l’immobiliarista di successo globale che ha sfondato da una dozzina d’anni in una serie Tv nella parte dell’imprenditore che licenzia via via gli aspiranti al posto (vero) di manager nelle sue aziende, fino a trovare quello ok. Per l’irruzione nella corsa tra Jeb e Hillary ha scelto di fare uno show nella sua Trump Tower sulla Quinta Strada. Ha “licenziato” la classe politica in carica e chiesto alla gente di assumere lui, Donald, per aggiustare l’America («siamo la prossima Grecia», ha detto).
Ha parlato come nessun professionista del Palazzo fa, usando epiteti verso «gli stupidi politici» che «non hanno la più pallida idea di come trattare con la Cina, con il Messico». «Io sono molto ricco», e ha mostrato il foglio con la certificazione di una società di revisione del valore economico del suo brand, 9 miliardi di dollari. «Mi pagherò la campagna con i soldi miei, senza condizionamenti. Saprò far tornare l’America grande: la nostra economia, il nostro esercito. E sarò durissimo con l’Isis, vedrete. Spendiamo per l’educazione più soldi pubblici di tutte le altre nazioni al mondo in media pro-capite, ma siamo 25esimi per risultati. La competenza è il fattore vincente, e il nostro governo è fatto di incapaci».
Tutto un altro clima rispetto ai comizi dei protagonisti più celebri della campagna per il 2016, i “dinastici” Hillary Clinton e Jeb Bush, che si erano confrontati a distanza di 48 ore nel fine settimana: la democratica a New York e il repubblicano a Miami, negli Stati di adozione in cui avevano avuto il loro battesimo politico di successo, lei senatrice e lui governatore. Per opposti motivi strategici interni, l’obiettivo di vincere le primarie dei DEM e del GOP li ha spinti entrambi a presentarsi con un profilo diverso da quello che è loro attribuito dall’opinione pubblica prevalente. Il contrario di Donald, spaccone sincero. La Clinton sabato aveva fatto la pasionaria rossa, con una piattaforma di rivendicazioni economiche radicali: ha sposato l’agenda delle union, dalla paga oraria a 15 dollari ai permessi dal lavoro pagati, dalla scuola gratis dall’asilo al college alla amnistia immediata per tutti i clandestini.
Jeb, che ha annunciato il via lunedì davanti a una folla di fans (tra cui la mamma Barbara, ma non il fratello e neppure il padre ex presidente), ha un altro problema d’immagine, anzi due. Si chiama Bush, non a caso ha lanciato il logo “Jeb! 2016”, senza il cognome. Ma soprattutto, essendosi fatto ormai la nomea di moderato repubblicano, nel suo discorso s’è sforzato di apparire come un conservatore a tutto tondo, con la speranza di convincere quelli dei Tea Party che non si fidano di lui.