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 2015  giugno 17 Mercoledì calendario

Luigi, l’altro De Gregori. Ha 7 anni più di Francesco e fa il suo stesso mestiere, «senza invidia». È lui l’autore che si nasconde dietro il successo de "Il bandito e il campione": «La mia però era una ballad lenta e distesa, lui gli ha dato un ritmo incalzante. È servito anche a me quel successo: i diritti mi permettono di sostenere la mia carriera». Intanto pubblica "Tutto quello che ho 2003-2015", un compendio dei suoi ultimi tre album, un viaggio tra il folk e il country

Luigi e Francesco. Luigi è quello maggiore. Francesco è più piccolo di 7 anni. Fanno lo stesso mestiere. Cantautore. Luigi e Francesco De Gregori. «Non c’è mai stata invidia da parte mia. Sono sempre stato un suo ammiratore», racconta Luigi che ieri ha pubblicato (in digitale, il cd esce a luglio) «Tutto quello che ho 2003-2015», compendio dei suoi ultimi tre album, un viaggio tra il folk e il country. «Ho scelto i brani più rappresentativi e che vedo arrivati a una versione “definitiva”. Un modo per farmi conoscere a un pubblico più ampio».
Fino al 2012 per il mondo della musica lui era Luigi Grechi. «Nei quiz televisivi chiedevano spesso come si chiamasse il fratello meno famoso di Francesco De Gregori», ridacchia. Solo con «Angeli & fantasmi» del 2012 ha deciso di firmarsi Luigi «Grechi» De Gregori. La sua carriera, quasi interamente nel mondo delle autoproduzioni e dell’underground, iniziò nel 1975. «Scelsi come pseudonimo il cognome di mia madre per non confondere le cose. Di recente quando anche Francesco mi ha chiesto perché non mi riprendevo il nostro cognome mi sono convinto. Arrivati a una certa non si ha più l’ansia della ricerca del sé».
La voce è simile («Possiamo fare scherzi telefonici, ma cantando la usiamo in modo diverso») e nella musica di Francesco c’è più di un pezzo del fratello. Luigi è l’autore di testo e musica di «Il bandito e il campione», la storia di Costante Girardengo e dell’anarchico Sante Pollastri. «Nel 1973-74 un amico di Novi Ligure mi raccontò la storia, una grande epopea, di questi suoi due concittadini. Ci ho messo anni a darle forma: l’ho completata nel 1990. All’inizio era lunga come un poema... Per me tutte le canzoni più che un film dovrebbero essere un trailer». Nel 1993 Francesco decise di metterla come unico inedito del disco live che da quella canzone prese il nome. «Fu un successo non previsto. Nemmeno da lui. La più grande soddisfazione fu quando mi disse “All’inizio pensavo di farti un piacere, invece l’hai fatto tu a me”». Con grande modestia Luigi riconosce i meriti dell’interprete. «Ha velocizzato il brano, la mia è una ballad lenta e distesa, lui gli ha dato un ritmo incalzante. E poi gli ha dato il suo pubblico. È servito anche a me quel successo: i diritti mi permettono di sostenere la mia carriera. Fare il cantautore è una scusa per fare il vagabondo».
Se la canzone italiana ha il suo Principe, è anche un po’ merito suo. «Appesa al muro di casa c’era una chitarra. Ero perfido e la scordavo apposta per non farla usare a mio fratello. Lui imparò a riaccordarla per poterla suonare quando io non ero in casa». Fu lui a indirizzare il fratellino al Folkstudio di Roma, culla del cantautorato della capitale. In quegli anni Luigi vinse un concorso di bibliotecario alla Civica Sormani di Milano e si trasferì. «Papà ci teneva. Era il suo mestiere. E quello di nonno. Mi sono pentito di quella scelta». La musica diventa un hobby e negli anni Ottanta la sua produzione artistica si ferma. «Un periodo sciagurato per l’Italia e per la musica: gli anni delle lampade Uva e del funk. Era una cultura che guardava con poca simpatia all’approfondimento e preferiva l’effimero». Luigi si licenzia dalla Sormani, viaggia, torna alla musica. «Vorrei poter passare più tempo on the road. Il cantautore è la scusa che ho usato per fare il vagabondo e viaggiare».
In «Tutto quello che ho» oltre a quel successo ci sono anche due brani in cui Francesco suona l’armonica e altri due a sua firma. «Risalgono ai suoi esordi. Non li ha mai pubblicati perché quello stile umoristico e surreale era troppo discordante rispetto al suo».