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 2015  giugno 16 Martedì calendario

Che figuraccia il rugby che sciopera per i premi. La lite con la Federazione per una questione di soldi, salta così il raduno azzurro pre-Mondiale. Il presidente del Coni Malagò: «È giusto legare i riconoscimenti ai risultati»

Una figuraccia, l’ennesima, del rugby azzurro. E stavolta non c’è stato neppure bisogno di scendere in campo, anzi il punto è proprio quello: la Nazionale italiana convocata a Villabassa, in Alto Adige, per il raduno estivo in vista dei Mondiali di settembre-ottobre in Gran Bretagna, si è rifiutata di vestire l’abbigliamento griffato dagli sponsor federali e di allenarsi.
Per questioni di «grana» e di incompatibilità tra «governo» federale e «sindacati» di categoria. Un imbarazzante caricatura ovale dello scontro Renzi-Camusso, la peggior vigilia possibile per il Mondiale, e una toppata planetaria evitabilissima proprio nei giorni in cui l’Italia ospita i Mondiali Under 20 e tutta Ovalia applaude Sergio Parisse campione di Francia con lo Stade Français. Come al solito, ci facciamo riconoscere.
Questione di soldi
Il motivo dello sciopero (poi negato dai rappresentanti dei giocatori) è l’accordo mai raggiunto sui premi. Una polemica che va avanti da aprile, quando il presidente della Fir, Alfredo Gavazzi, tirò il primo sasso: «Sono stanco di avere dei pensionati in Nazionale – disse ad un tavolo di giornalisti -. I premi devono essere legati ai risultati, nel caso dei Mondiali al passaggio ai quarti di finale. Bisogna cambiare mentalità, non sono io a essere sceso al 15º posto del ranking mondiale». La squadra, compattissima dietro a capitan Parisse, si ribellò via Twitter, abbinando le frasi di Gavazzi all’hashtag #portacirispetto. Sono seguiti mesi di inutili trattative tra la Fir e la Gira, il sindacato dei giocatori. Gavazzi, imprenditore di successo a Brescia, ha avanzato una proposta meritocratica che prevede un totale di 1,5 milioni di euro per i 30 convocati al Mondiale (50 mila euro a testa), la grossa parte dei quali legata al passaggio ai quarti – traguardo mai raggiunto dall’Italia – più un contentino fisso. «I giocatori sono liberi o no di accettarla, io comunque non torno indietro. Se vogliono guadagnare di più, vincano di più», ha fatto sapere, raccogliendo anche il pieno appoggio del presidente del Coni, Giovanni Malagò, da Baku: «Ne avevo parlato con Gavazzi, sono d’accordo a legare i premi ai risultati». Un «jobs act» non privo di buonsenso e realismo, che andava semmai proposto con maniere meno ruvide e ultimative.
Posizioni lontane
I giocatori chiedono 10 mila euro di gettone garantito e ribattono che non si possono tenere 3-4 mesi dei professionisti lontani da casa senza un compenso, che va tutelato anche chi sta in panca e in tribuna e che la Fir pensa solo a risparmiare, visto che per passare il turno – mission quasi impossible – come minimo bisognerebbe battere la Francia nel match di esordio. Così tra «aziendalisti» e «sindacalisti» si è arrivati al muro contro muro. In due comunicati contrapposti sul fattaccio di Villabassa ci si scambiano colpe e responsabilità. «Sono deluso dall’atteggiamento degli atleti», ha fatto sapere Gavazzi, che preso atto della posizione dei nazionali ha rispedito tutti ai club di appartenenza, annullando il raduno. «Non tanto per la situazione contingente, ma perché tale decisione denota la non volontà di investire sulle proprie capacità sportive». Risponde il Gira, l’associazione dei giocatori: «La verità è un’altra, è stato chiesto un incontro al Presidente, che l’ha negato per motivi personali, e ora la Fir vuole rigirare la situazione a proprio favore». Oggi l’incontro dovrebbe finalmente esserci, a Brescia, presenti Parisse e Gavazzi. La speranza è che la soluzione si trovi e si metta fine all’incresciosa baruffa. Dopo aver passato 15 anni di Sei Nazioni a incassare soprattutto mete (altrui), il rugby italiano deve capire che sulle sconfitte non è più tempo di lucrare vitalizi. Soprattutto se la moneta è la pazienza degli appassionati.