Corriere della Sera, 16 giugno 2015
Arezzo, il pupillo 31enne di Maria Elena Boschi sconfitto da un ex assessore moderato di 63 anni. E mentre i sostenitori di Matteo Bracciali gridano al tradimento dei grillini, Alessandro Ghinelli, ingegnere e docente all’università di Firenze, ammette: «Non avrei scommesso un caffè sul fatto di finire al ballottaggio, figurarsi di vincere, ma gli aretini hanno colto la differenza tra me e il mio avversario…»
Non tutte le «curve» sono uguali. Quella che il cinque volte presidente del Consiglio, Amintore Fanfani, impose al tracciato dell’A1, tra Val di Chiana e Valdarno, per regalare ad Arezzo un casello, è una delle tante e inarrivabili metafore del potere. Quella che ha invece imboccato nelle urne uno dei Pd più renziani che ci sia in giro, feudo della ministra Maria Elena Boschi con tanto di babbo Pier Luigi ex vicepresidente della Banca Etruria (ora commissariata) e oggetto di polemiche ogni qualvolta si parla di Banche Popolari, ha il sapore doloroso del capitombolo dopo l’exploit delle Europee 2014.
Neanche si è fatto vedere in campagna elettorale Renzi, forse sicuro del successo e comunque rassicurato dal protettivo ombrello della famiglia Boschi (segnalata invece almeno due-tre volte ad Arezzo). Tale era la fiducia dei dem che c’era chi già discettava di improbabili parallelismi tra il «fanfanismo» che fu e il «boschismo» emergente. Il candidato del Pd, Matteo Bracciali, 31 anni, promettente rampollo che del renzismo ha fatto una religione, delle Leopolde una palestra e delle Acli un serbatoio di esperienze, ha confidato giorni fa al Corriere fiorentino, facendo non poco arrabbiare la madrina Boschi, che, sì, «il fanfanismo può tornare: l’asse Roma-Arezzo rinascerà grazie al mio legame con Maria Elena e con Renzi…».
Mancava solo un dettaglio: che diventasse sindaco di Arezzo. Niente da fare. Per una manciata di voti, sullo scranno più alto di Palazzo Cavallo è finito un distinto signore, colto, tosto e con una simpatica considerazione di sé: Alessandro Ghinelli, 63 anni, ingegnere e docente all’università di Firenze. «Non avrei scommesso un caffè sul fatto di finire al ballottaggio, figurarsi di vincere, ma gli aretini hanno colto la differenza tra me e il mio avversario…» ha confessato ieri. Tra il primo e il secondo turno ha rimontato il 9%, portandosi dietro una di quelle cartoline a cui Berlusconi non è più abituato: un centrodestra unito (FI, Lega, Fratelli d’Italia, più la sua lista civica al 12%). È la nemesi della rottamazione. Anagrafe a parte, Ghinelli è tutt’altro che un debuttante: è stato assessore nelle giunte di centrodestra fino al 2006 quando il timone è passato al Pd, al nipote di Amintore Fanfani, Giuseppe, che ha lasciato mesi fa la fascia tricolore per approdare al Csm.
Arezzo è terra di moderati. Più che la caduta del Pd, a far rumore sono le crepe di un renzismo che qui ha la sua culla. Bracciali parla su Facebook: «Mi prendo la responsabilità della sconfitta, torno al mio lavoro e alla famiglia». Il governatore Enrico Rossi sgrana gli occhi: «Sono sorpreso del risultato, e poi dicono che in Toscana si vince sicuro…». Nel comitato elettorale del Pd portano via sedie, magliette con la foto di Bracciali e se la prendono con i 5 Stelle: «Ci hanno traditi…». In realtà, a pesare è stato un mix di temi nazionali e local, a partire dai tagli alla sanità imposti dalla Regione: «Ci hanno trattato come il Katanga – ha detto Ghinelli —, ma il primo a pagare è stato lo stesso Partito democratico». Lo scandalo della Banca Etruria? «La figura di Boschi padre non è stata percepita come incisiva nel caso…»: Ghinelli non infierisce. La ministra si tiene a distanza. In centro l’unica febbre è quella per la Giostra del Saracino.