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 2015  giugno 15 Lunedì calendario

Fughe, ricorsi e impronte digitali. Ecco le strategie dei migranti per restare in Italia ma il Viminale stringe: controlli più severi e rinforzi inviati a Roma, Milano e Brennero

Dall’aumento dei rinforzi per i controlli alla decisione di interrompere gli sgomberi e creare le tendopoli per non disperdere i migranti. Sono le misure dell’ultim’ora del Viminale per arginare le emergenze alla stazione di Milano, a Ventimiglia e a Roma. Così, mentre si gioca la partita con l’Europa, si cercano soluzioni anche sul fronte interno. Anche con accordi di polizia bilaterali con i paesi africani, come quello concluso recentemente con il Gambia. Il nodo resta comunque quello dei foto segnalamenti e delle identificazioni. Sia per i migranti sbarcati sulle nostre coste, che sperano di attraversare le frontiere e sottrarsi alle rigide prescrizioni del Trattato di Dublino, sia per quanti non hanno diritto allo status di rifugiati e dovrebbero essere classificati come “migranti economici”. Gli “irregolari” che rimangono in Italia trovando lavori di fortuna o in nero. Ma c’è anche un terzo gruppo: quelli che, essere dopo arrivati sui barconi, presentano istanza per ottenere ottere asilo, lasciano i Cara e puntano ad attraversare i confini. L’obiettivo finale sono Germania e Inghilterra. Sono 50 mila le persone di cui abbiamo perso le tracce.
LE MISURE
Cento uomini al giorno in più a Roma e a Milano, 40 sul Brennero, 40 a Ventimiglia. Sono le misure del Viminale per arginare l’emergenza di questi giorni. E mentre le forze di polizia propongono di portare nei Cie gli immigrati mai identificati che adesso si ammassano negli snodi ferroviari e a Ventimiglia, al contrario la linea è quella di evitare gli sgomberi per impedire che questo popolo invisibile si disperda: si montano le tendopoli e ritorna l’ipotesi di utilizzare le Caserme per l’accoglienza.
IL FOTO SEGNALAMENTO
Secondo il trattato di Dublino è nel paese di primo approdo che i migranti devono chiedere lo status di rifugiato e rimanere confinati. E se un buon numero riesce ad evitare le procedure di foto segnalamento e punta direttamente al Nord, come quelli che adesso sono stati bloccati a Ventimiglia o a Milano, un’altra parte, dopo avere presentato la domanda, abbandona i Cara (opzione consentita dalla legge). Secondo il Viminale sarebbero almeno 50.000 a mancare all’appello, tra chi è sbarcato e ha evitato il fotosegnalamento e quanti hanno invece lasciato i centri governativi. Una cifra ottenuta incrociando i dati degli sbarchi degli utlimi due anni con le presenze nei Cara e negli Sprar. Nel 2014 sono arrivate 170 mila persone e le richieste di asilo sono state 64.886, ma nelle strutture si contano 80.150 persone. In tanti avrebbero superato i confini.
I TEMPI
I tempi delle 40 Commissioni territoriali deputate ad esaminare le domande non sono brevissimi, al contrario di altri paesi, in Italia (dove la legge prevede 30 giorni per la definizione della pratica) trascorrono almeno tre mesi. In caso di respingimento, i migranti possono fare ricorso al giudice ordinario, procedura che richiede almeno un altro anno e mezzo, durante il quale i richiedenti hanno diritto all’accoglienza, ma possono liberamente allontanarsi. Spesso in secondo grado viene concesso un permesso per motivi umanitari, in caso contrario, rientrano nella categoria dei migranti economici, con un passaggio dai Centri di identificazione ed espulsione. E un ritorno a casa che difficilmente è realizzabile.
MIGRANTI ECONOMICI
Su 15mila decreti di espulsione, nel 2014, ne sono stati eseguiti soltanto 4.500. Nei Cie, oltre a quanti non hanno diritto di accoglienza per motivi umanitari o politici, spesso vengono convogliati anche gli immigrati che abbiano commesso reati nel nostro Paese. Sono destinati a tornare a casa, ma la mancanza di accordi bilaterali con gli Stati di provenienza lo impedisce. Così dopo una difficile identificazione, che non rispetta quasi mai i 90 giorni previsti, vengono rilasciati con un decreto di espulsione: sette giorni per l’allontanamento. Anche i condannati che hanno scontato una pena nelle nostre carceri, ma non posseggono un passaporto, spesso finiscono nei Cie, in attesa di risposta dalle ambasciate per la certezza dell’identificazione. La procedura prevederebbe il rilascio di un nulla osta per la riammissione dalle sedi diplomatiche ma, mentre con Tunisia, Egitto e Marocco sono previsti accordi bilaterali che hanno consentito il rimpatrio con voli governativi, nella maggior parte dei casi sul nostro territorio non esistono neppure consolati. Così, gli ospiti vengono “rilasciati” con un decreto di espulsione in tasca che prevede l’allontanamento entro sette giorni dall’Italia. Un ordine che non viene rispettato quasi mai.