La Stampa, 15 giugno 2015
Bloccata la spesa per le infrastrutture. Nel 2014, si è fermata a quota 25,4 miliardi di euro. Dei 735 interventi programmati con la legge Obiettivo del 2001, in tutto 206 grandi opere, a oggi, ovvero dopo 14 anni, ne risultano aggiudicati solo 378. L’Italia dei cavilli
Hai voglia a parlare di crescita. Nel 2014, denuncia il Consiglio nazionale degli ingegneri, la spesa dello Stato per infrastrutture si è fermata a quota 25,4 miliardi di euro, il livello più basso dal 2000. Dei 735 interventi programmati con la legge Obiettivo del 2001, in tutto 206 grandi opere, a oggi, ovvero dopo 14 anni, ne risultano aggiudicati solo 378.
In termini economici parliamo di 44,8 miliardi rispetto ai 150 previsti. Meno di un terzo. Come se non bastasse, molte opere aggiudicate non sono state avviate, molte altre hanno accumulato ritardi. Risultano conclusi solo 117 interventi per 3,4 miliardi, appena il 7,7% di quanto messo a gara. Non solo, ma questi lavori, per essere conclusi, hanno richiesto varianti per 3,1 miliardi facendo così raddoppiare i costi.
Tra burocrazia e Tar
Le ragioni di questi ritardi? «Sono molteplici – spiega il presidente del Cni Armando Zambrano -. Ci sono ritardi legati alla burocrazia, ad autorizzazioni che non arrivano e pareri che mancano, ritardi legati alle varianti e a costi che diventano spesso eccessivi, ai ricorsi al Tar e a carenze di progettazione». Tasto su cui gli ingegneri italiani ovviamente insistono. Per Zambrano «è necessario dare centralità al progetto e ridefinire in modo anche radicale il sistema delle regole e la gestione dell’intervento pubblico».
Allargando un poco lo sguardo il Cni segnala ancora che l’Italia, ormai da anni, «sta vivendo un vero è proprio declassamento infrastrutturale, una preoccupante diminuzione del valore strategico assegnato dalle politiche pubbliche alla realizzazione di nuove infrastrutture. Che, tra l’altro, a questo punto, da opportunità per i territori sembrano essersi trasformate in vere e proprie criticità». È vero che la flessione degli investimenti nel periodo di crisi è stata comune a tutta Europa, ma in gran parte dei Paesi, nel 2013, il ciclo è ritornato ad essere espansivo. In Italia, invece anche nel 2013-2014 è proseguita la fase discendente toccando il 18,2% sul totale della spesa per investimenti. Solo Grecia, Irlanda e Spagna hanno fatto peggio di noi tagliando rispettivamente del 15,1, 7,8 e 4,3% il valore medio annuo delle opere tra il 2007 ed il 2012. In Italia il calo è stato del 3,9%. Di contro la Germania è rimasta stabile (+0,1%), mentre Gran Bretagna e Svezia sono salite del 4/4,2 per cento.
Effetti a cascata
«L’impatto dei tagli sul sistema delle costruzioni è dirompente – spiega lo studio del Cni – poiché gli investimenti di questo settore rappresentano ben il 51% degli investimenti fissi lordi totali». Per avere una dimensione del fenomeno di disinvestimento intervenuto negli ultimi anni, ragionando per ipotesi e prendendo come riferimento il valore più alto di spesa raggiunto subito prima della crisi (nel 2007, quasi 41 miliardi), per il Cni dal 2008 a oggi è come se fosse venuta meno una spesa di quasi 63 miliardi che a sua volta avrebbe generati domanda aggregata per 158.
Il caro variante
Gli ingegneri puntano il dito soprattutto sulle varianti: sono state ben 778 quelle concesse su 378 opere aggiudicate, corrispondenti a 65.832 giorni di proroga e soprattutto a 16,8 miliardi di extracosti (+37,4%). Secondo il Cni occorre superare il meccanismo dell’appalto integrato, del contraente generale e delle gare al massimo ribasso per puntare sulla regia di progetto, privilegiando per la progettazione il ricorso ai professionisti e a strutture esterne alla pubblica amministrazione. «Molte delle nostre richieste sono state recepite nella legge sul nuovo codice degli appalti in via d’approvazione – conclude Zambrano –. E credo che il governo negli ultimi tempi si stia muovendo bene su questi temi. A patto ovviamente che dopo aver legiferato, come spesso è accaduto in passato, non si verifichi una nuova “emergenza” che ci fa tornare indietro. Ma poi si dovrebbe avere anche il coraggio di interrompere i lavori in caso di opere che passati vent’anni non sono più utili o sono sorpassate tecnologicamente. Sarebbe un atto di coraggio che ci farebbe risparmiare tante risorse preziose».