Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  giugno 15 Lunedì calendario

La cerimonia d’apertura dei Giochi europei di Baku è costata più di quella dell’Olimpiade di Londra 2012. Cento milioni a 95 per Baku. Solo Sochi e Pechino hanno speso di più per il varo dei loro Giochi: lì c’era però il mondo. Da qui, invece, parte un messaggio al mondo: guardate e meravigliatevi. Tutto è così insopportabilmente grande, irragionevolmente forse

Cosa avrà provato Gulnar Suleymanova durante la cerimonia di apertura dei Giochi europei, solo lei può saperlo. Non era allo stadio, ma avrà sentito i suoni e visto i colori di un mondo che non è il suo. Gulnar vive a Balakhani, il sobborgo in cui è sorto l’impianto. A maggio lei e i suoi figli sono apparsi in un reportage choc di tre giornalisti di Meydan Tv, una delle emittenti libere di Baku. Lo stadio costruito dalla Socar, e poi la Belt of Happiness, la parte scintillante della città, i negozi, gli abiti italiani, i gioielli, sono lontani come la luna, per lei, che lavora per 250 manat al mese, 260 euro, pura sopravvivenza, in un container petrolifero dove si ghiaccia d’inverno e d’estate, no, meglio non pensarci.
Lo stadio, già nominato Olimpico prim’ancora di un’Olimpiade, ha ingerito venerdì nelle sue viscere una cerimonia di apertura bellissima, costata però più di quella di Londra 2012. Cento milioni a 95 per Baku. Solo Sochi e Pechino hanno speso di più per il varo dei loro Giochi: lì c’era però il mondo. Da qui, invece, parte un messaggio al mondo: guardate e meravigliatevi. Tutto è così insopportabilmente grande, irragionevolmente forse. Gli impianti sono sensazionali, costruiti da mani occidentali, pensati per togliere il fiato. L’Heydar Aliyev Arena è un miracolo di tecnologia, un pezzo del futuro che attende lo sport. Ieri, però, durante le gare di lotta greco-romana, tra maxischermi al plasma e telecamere ad altissima definizione, si è realizzato un agguato sportivo, antico, terribile. La semifinale dei 66 kg tra l’armeno Arutyunyan e l’azero Aliyev è stata la prosecuzione a viva forza umana e senz’armi della guerra del Nagorno-Karabakh, il conflitto tra i due popoli per il controllo della regione. Un rumore sordo dagli spalti, un urlo furioso, “Nagorno”, come durante la cerimonia di apertura. Ha vinto l’armeno, poi sconfitto in finale più che da un avversario russo, ancora da un pubblico arroventato: «Non ce l’ho fatta, è stato terribile, ma per il nostro paese era importante essere qui». Sono 25 gli armeni, scortati dovunque da guardie armate: la loro presenza a Baku è comunque una vittoria. Sembra che l’inverso, però, sia impossibile: «Per un azero scavalcare il confine con l’Armenia equivale alla morte» raccontava un venditore di tappeti, ieri, a Icherisheher, la stupefacente città vecchia salvaguardata dall’Unesco, visitata e descritta con terrore e meraviglia da Dumas padre in Caucaso.
Dalla lunga giornata di Baku l’Italia raccoglie il terzo argento nel karate con Mattia Busato, specialità kata, una sorta di danza marziale contro un avversario immaginario. Padroni di casa nettamente primi nel medagliere, «bello quando accade questo, vuol dire che il paese ospitante ha fatto le cose per bene» dice Bach, il cui sbalordimento complessivo potrebbe pesare anche più del dossier stile Treccani che gli azeri starebbero per inviare al Cio, con i dettagli della candidatura per l’Olimpiade 2024. La grande corsa azera inizia da qui, quella di Roma prosegue: ieri cena di gala a Casa Italia con una ventina di delegati Cio. È la contraerea Coni alle feste pro-Parigi e pro-Amburgo viste in città. La sensazione però è che il piatto sul tavolo, negli ultimi giorni, si sia alzato di parecchio.