la Repubblica, 15 giugno 2015
Fallisce il negoziato sulla Grecia. Timori per i mercati. Venti minuti e poi il gelo: «Non c’è più tempo». Ora trema anche Draghi. L’incontro di ieri a Bruxelles è durato pochissimo. L’Unione: «Così non si va da nessuna parte». Ballano due miliardi
Ancora nessun accordo. Doveva essere la volta buona, si torna invece a ballare. Non solo sul tavolo delle trattative, ma anche in Borsa. I mercati aprono oggi con un’ipotesi Grexit più concreta che mai. Titoli di stato, spread, listini: la tensione è alle stelle. «Una soluzione è ancora possibile», sdrammatizza il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Ma anche lui, alla fine riconosce lo stallo. Sperava in un fine settimana decisivo («ha fatto un ultimo tentativo personale per trovare una soluzione con il primo ministro Tsipras», racconta il portavoce).
Ora ammette che neanche l’Eurogruppo di giovedì sarà risolutivo e spera in una svolta «prima della fine del mese».
«Per natura sono un ottimista», tranquillizzava ieri mattina da Atene il premier Alexis Tsipras. Gli rispondeva da Berlino, il vicecancelliere e ministro dell’economia tedesco, il socialista Sigmar Gabriel, che l’ombra dell’uscita della Grecia dall’euro è «sempre più visibile», la Germania «non si farà ricattare» e non «accetterà qualsiasi cosa», «la pazienza dell’Europa è finita», «gli esperti greci della teoria dei giochi stanno giocando d’azzardo».
Un attacco durissimo (e inusuale) che gli investitori di tutto il mondo leggeranno oggi dalle colonne della Bild.
«Il negoziato non è riuscito», certificava poi in serata da Bruxelles la portavoce dell’esecutivo Ue. «Qualche progresso» è stato fatto, ma resta «una significativa distanza» tra le proposte greche e le richieste del Brussels group, l’ex troika Bce-Fmi-Commissione. La distanza è «nell’ordine dello 0,5-1% del Pil», ovvero «due miliardi di euro, di misure fiscali permanenti su base annuale». E dunque, «la proposta greca resta incompleta». Appuntamento rinviato allora a giovedì, per «ulteriori discussioni». La Grecia è «sempre pronta a trovare un accordo», ha fatto sapere il vicepremier greco Yannis Dragasakis. Ma gli ulteriori tagli alle pensioni, pretesi dalla troika, quelli «sono inaccettabili».
Una stretta di mano di benvenuto. Qualche attimo di convenevoli. Una ventina di minuti per mettere sul piatto le rispettive posizioni. Poi, viste le distanze, l’addio.
Doveva essere la riunione decisiva (l’ennesima) per salvare Atene dal default. «È l’ultima occasione, serve un accordo entro lunedì» aveva proclamato con enfasi Jean Claude Juncker. Invece niente. Quarantacinque minuti dopo l’inizio, l’incontro tra la Grecia e i creditori si è chiuso con l’ennesima fumata nera. E con la netta impressione che Bruxelles abbia ormai irrigidito le sue posizioni.
«Siamo arrivati con le nostre proposte – spiega una fonte vicinissima ai negoziatori ellenici –. Un pacchetto di riforme che copriva il gap fiscale come richiesto dai creditori senza toccare stipendi e pensioni e senza alzare del 10 per cento l’Iva sull’elettricità».
Gli uomini dell’ex Troika però hanno detto no. «Ci hanno spiegato di non avere il mandato per approvare modifiche alle loro posizioni – ha spiegato il vicepremier di Atene, Yannis Dragasakis, capo della delegazione greca –. Ribadendo che la loro richiesta rimane sempre la stessa: dobbiamo tagliare dell’1 per cento del Pil le pensioni e alzare dell’1 per cento le entrate fiscali».
La delegazione del governo Tsipras ha comunque deciso nella serata di ieri di rimanere in Belgio. «Siamo convinti che esistano ancora gli spazi per un’intesa. Noi non molliamo, basta che non ci facciano richieste assurde», spiegano. «Chi parla di rottura definitiva sta facendo una fuga in avanti», minimizza Dimitris Papadimoulis, eurodeputato di Syriza.
Le distanze non sono enormi, calcolano a Bruxelles, tra le parti c’è una differenza di soli 2 miliardi. «Solo? – scherza la fonte ellenica –. Calcolato il nostro Pil, è come se chiedessero all’Italia di varare una finanziaria da 16 miliardi dalla sera alla mattina. Impensabile».
La palla passa ora all’Eurogruppo mentre il timore sotto il Partenone è che l’incertezza e la fuga di capitali dalle banche obblighi prima o poi il governo a imporre i controlli sui capitali, bloccando il Paese nel pieno della stagione turistica e alzando ancora la tensione.
Stavros Theodorakis, leader di To Potami, ha chiesto al presidente della Repubblica Nikos Pavlopoulos di convocare i leader di tutti i partiti per una riunione d’emergenza, sollecitando l’esecutivo a stringere per un compromesso. Il tempo, ovviamente, è sempre meno. «L’Europa sta perdendo la pazienza – ha minacciato il vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel – e la Germania non si farà ricattare».
«La perdano pure – risponde un membro del comitato centrale di Syriza –. Se diciamo no a un’intesa e facciamo default, Berlino non vedrà un euro dei 65 miliardi che gli dobbiamo!».
«Stiamo trattando da cinque mesi e siamo più o meno fermi al punto da cui siamo partiti – racconta pessimista un funzionario dell’Unione europea, che dal 25 gennaio segue con apprensione il complicatissimo dialogo tra Bruxelles e Atene –. Non vedo come si riesca ora in pochi giorni a colmare le distanze che ci separano. O la delegazione ellenica fa improvvisamente un mezzo dietrofront o non andiamo da nessuna parte. E sarebbe, ovviamente, un problema serissimo».
A seguire i negoziati con il fiato sospeso è in queste ore anche il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. La Bce è oggi l’unica fonte di finanziamento per la Grecia, che non vede un centesimo dai suoi creditori dallo scorso agosto e non riesce, ovviamente, a finanziarsi sui mercati. Eurotower tornerà mercoledì a esaminare il livello delle linee di emergenza garantito agli istituti di credito ellenici. In quell’occasione dovrà pure decidere se “tagliare” il valore dei titoli depositati come garanzia dalle banche. La Bundesbank spinge da tempo per una sforbiciata che prenda atto del valore reale di questi strumenti e alla luce dello stallo nelle negoziazioni farà sentire di nuovo la sua voce. Una decisione in questo senso sarebbe però la condanna al caos per la Grecia, una scelta politica e non tecnica che l’istituto centrale non vuole fare.
Il redde rationem è ormai alle porte e la decisione finale, ormai è chiaro, sarà politica e non tecnica. «Non toccheremo pensioni e stipendi», hanno ribadito ieri i negoziatori ellenici. Tocca quindi alla Ue – e in particolare a un’Angela Merkel in difficoltà sul tema anche in patria – decidere se gettare il cuore oltre l’ostacolo e fare un passo verso Atene. Magari mettendo sul piatto l’agognato taglio al debito (o almeno l’inizio delle discussioni per arrivare a quel traguardo). Il tema sarà sul tavolo dell’Eurogruppo di giovedì. Resta da vedere se, vista la delicatezza della situazione, ci sarà pure Alexis Tsipras. In quella data il premier greco è atteso a un summit a San Pietroburgo dove è stato personalmente invitato da Vladimir Putin. Un messaggio nemmeno troppo subliminale ai partner: l’Europa gioca su Atene una partita che non è fatta solo di avanzo primario e austerity.