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 2015  giugno 12 Venerdì calendario

La giudice e la squatter, così cambia la Spagna. Manuela Carmena e Ada Colau domani, a meno di cataclismi, governeranno Madrid e Barcellona. I due volti, diversissimi, della sinistra radicale, hanno trovato un accordo con gli altri gruppi progressisti e, mentre il Paese è alla ricerca di geometrie politiche, loro si insediano senza problemi. Festeggia anche Podemos, che le ha sostenute

La giudice e la squatter. Dopo trattative, trame, rotture e patti, il giorno è arrivato: Manuela Carmena e Ada Colau domani, a meno di cataclismi, governeranno Madrid e Barcellona. I due volti, diversissimi, della sinistra radicale, hanno trovato un accordo con gli altri gruppi progressisti e mentre la Spagna è alla ricerca di geometrie politiche, loro si insediano senza problemi. Festeggia anche Podemos, che le ha sostenute e che ora entra nelle giunte delle due città principali del Paese.
Percorsi politici diversi
Le loro sono storie lontane per generazione, Carmena ha 71 anni, Colau 41, e percorso politico, più classico quello di Manuela (Partito Comunista, clandestinità sotto la dittatura, avvocato impegnato nei diritti del lavoro) e più movimentista quello di Ada, (cortei no global, lotta agli sfratti, case occupate e persino un arresto negli scontri con la polizia).
Manuela Carmena, leader della lista Ahora Madrid (formata tra gli altri da Podemos), pur essendo arrivata seconda alle comunali, dietro i popolari, ha stretto ieri il patto con il Partito socialista, che la sosterrà (a meno di franchi tiratori) senza entrare in giunta. Il Pp le ha provate tutte per sbarrarle la strada, arrivando persino a offrire l’appoggio al candidato socialista pur di non vedere «gli amici del Venezuela» al potere. La signora Carmena lavora già da prima cittadina, ha pronta la giunta, con un esponente di Podemos come assessore alla Sicurezza (con buona pace di conservatori scandalizzati e vigili urbani perplessi). Per rassicurare l’establishment, Manuela (come la chiamano tutti) ha già incontrato il presidente di Bankia, uno dei primi istituti finanziari di Spagna.
Strada spianata anche per Ada Colau, da domani sindaca di una Barcellona un po’ sconvolta dalla novità. In una città storicamente votata agli affari e al turismo, il passato barricadero della Colau qualche inquietudine la pone: a rischio cancellazione il Gran Premio di Formula 1 e la costruzioni di nuovi alberghi e della marina. Da un punto di vista politico, la leader di Barcelona en Comù (anche qui c’è Podemos come sponsor principale) non teme intralci: governo di minoranza, con via libera esterno da socialisti e repubblicani catalani. Ma il primo ostacolo è arrivato sul tema delicatissimo dell’indipendenza della Catalogna. I duri e puri hanno chiesto, in cambio dell’appoggio, l’adesione alla road map secessionista, che però Podemos e socialisti non possono accettare. Lei si è districata con abilità, garantendo appoggio al processo catalano, ma senza prendere impegni formali.
Trattative e compromessi
Dalle spiagge di Maiorca, a Santiago di Compostela, la Spagna è tutta una trattativa. Le amministrative del 24 maggio hanno consegnato una situazione frammentata: per nominare sindaci e presidenti di regione si devono trovare inediti accordi, figli della fine del bipartitismo. La legge elettorale non stabilisce subito un vincitore: in mancanza di maggioranza assoluta, diventa primo cittadino il capolista che ottiene l’appoggio del maggior numero di consiglieri. Ancora più complesso il meccanismo dei presidenti delle comunità autonome.
I programmi tv sembrano puntate di «Tutto il calcio minuto per minuto», con gli inviati scatenati: «Scusa intervengo da Valencia: c’è l’accordo, a te la linea». «A Malaga comune in bilico, a dopo per i particolari». «A Cadice sorrisi, ma niente patto». Podemos fa le bizze e il cosiddetto cordone sanitario contro la destra non regge. Se in alcune realtà Psoe e indignados hanno trovato l’accordo, in molte altre si litiga, con il risultato di favorire il Pp. Il calendario complica la vicenda: a novembre (se non prima) si vota per le elezioni generali e nessuno vuole perdere consensi cedendo a presunti ricatti reciproci.
La mancanza di cultura di accordi è tale che per dare un governo all’Andalusia ci sono voluti quasi tre mesi: a marzo la socialista Susana Diaz vince le elezioni distanziando senza maggioranza assoluta e per essere nominata deve ottenere il voto o l’astensione degli altri: popolari, Podemos, Izquierda Unida o Ciudadanos, la nuova formazione centrista. Questi ultimi, dopo trattative estenuanti, hanno ceduto (o l’hanno spuntata, dipende dai punti di vista) e da ieri Siviglia ha una nuova giunta regionale, tre mesi per una specie di ratifica.