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 2015  giugno 12 Venerdì calendario

Una condanna esemplare per Zhou Yongkang, uno degli ex uomini più potenti della Cina. Così la campagna anticorruzione di Xi ha mandato all’ergastolo l’ex capo della sicurezza. Il 73enne finirà i suoi giorni in carcere per corruzione, abuso di potere e rivelazione di segreti di Stato

Finirà i suoi giorni in carcere Zhou Yongkang considerato fino al 2012 uno degli uomini più potenti della Cina. L’ex capo della sicurezza, 73 anni, è stato condannato ieri all’ergastolo per corruzione, abuso di potere e rivelazione di segreti di Stato. Oltre a vedersi sequestrare tutti i beni, Zhou è stato privato a vita dei diritti politici. Impossibile rintracciare nella storia della Cina comunista (cominciata nel 1949) un servitore dello stato di così alto rango a essere stato condannato. A livello di clamore bisogna sicuramente risalire al 1981, ovvero al processo e alla condanna della “banda dei quattro” (Jiang Qing, vedova di Mao e sua quarta e ultima moglie, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen).
LA CADUTA
A capo dell’apparato di sicurezza di Pechino fino al 2012, quando andò in pensione, Zhou è il più importante membro del partito comunista condannato nell’ambito della campagna anti corruzione lanciata dal presidente Xi Jinping. Oltre a essere stato ministro per la Pubblica Sicurezza, sedeva anche nel Comitato permanente del Politburo, massimo organo decisionale del potere cinese. Arrestato ed espulso dal partito l’anno scorso, Zhou era stato incriminato in aprile. L’agenzia Xinhua ieri ha reso noto che il processo si è tenuto il 22 aprile, spiegando che non è stato aperto al pubblico perché riguardava anche segreti di Stato. L’ex alto funzionario si è dichiarato colpevole davanti al tribunale della città nord orientale di Tianjin e non intende presentare appello.
LA SORPRESA
La notizia della condanna ha colto di sorpresa molti osservatori che si aspettavano un processo pubblico. In un altro caso importante, quello di Bo Xilai, il leader politico emergente condannato nel 2013 anche lui all’ergastolo, che voleva cambiare le leggi non scritte che regolano il processo di successione ai vertici dello Stato e del Partito Comunista in concorrenza con lo stesso Xi Jinping e per questo caduto in disgrazia i giornalisti stranieri e cinesi furono avvertiti del processo con 48 ore di anticipo. Inoltre a marzo, la Corte Suprema del Popolo aveva affermato che il processo a carico di Zhou si sarebbe svolto «a porte aperte, come vuole la legge».
Bo Xilai era un “protetto” di Zhou la cui sfera di influenza era enorme, sia a livello politico, sia economico. E molti sono i nomi famosi di personaggi a lui vicini già assicurati alla giuistizia. Oltre a Bo Xilai ci sono l’ex viceministro alla Sicurezza Li Dongsheng, l’ex vice governatore Ji Wenlin, entrambi sotto investigazione, il tycoon delle miniere Liu Han (condannato a morte) Zhou Bin (suo figlio) manager del settore energetico (anche lui arrestato). Secondo l’accusa Zhou Yongkang e la sua famiglia avrebbero accumulato un patrimonio di oltre 14 miliardi di dollari.
La sua condanna è stata accolta con soddisfazione dai media ufficiali cinesi che sostengono la campagna contro la corruzione lanciata nel 2012 dal presidente Xi Jinping. Una campagna che nei primi due anni di attuazione ha portato a essere indagati oltre 60mila ufficiali, di cui una trentina di altto grado. «Colpire insieme tigri e mosche» fu lo slogan con cui Xi Jinping lanciò la sua campagna anti-corruzione, spiegando che l’obiettivo era (e resta) quello di combattere sia gli ufficiali di alto grado (le tigri) che i funzionari di Partito di più basso livello (le mosche). Ora è toccato alla “tigre” Zhou, la più “feroce” nella giungla di corruzione che, nonostante tutto, ancora si estende in tutta la Cina.