Il Sole 24 Ore, 12 giugno 2015
Il circolo vizioso delle manovre economiche senza esito. Quanto è dato conoscere sugli esiti e gli effetti delle 765 misure di maggiori o minori entrate introdotte dai provvedimenti di finanza pubblica varati fra il 2008 e il 2014 movimentando oltre 520 miliardi di risorse? La domanda se la pongono i magistrati contabili della Corte dei Conti. E sarebbe ragionevole immaginare che la terza economia d’Europa sia in grado di fornire a tutti risposte esaurienti Sbagliato.
Quanto è dato conoscere sugli esiti e gli effetti delle 765 misure di maggiori o minori entrate introdotte dai provvedimenti di finanza pubblica varati fra il 2008 e il 2014 movimentando fino al 2015 oltre 520 miliardi di risorse? La domanda se la pongono, supportati da informazioni e dati della Ragioneria e dal Dipartimento finanze del ministero dell’Economia, i magistrati contabili della Corte dei Conti nel “Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica”. E sarebbe ragionevole immaginare che la terza economia d’Europa sia in grado di fornire a tutti risposte esaurienti.
Sbagliato. Le decisioni «consuntivate» secondo regole certificabili sono appena 117, il 15% di quelle adottate in sette anni. Poi ci sono 277 misure solo «aggiornate». Infine, la quota più numerosa: 371 provvedimenti per i quali «non si ha alcuna conoscenza né a livello di consuntivo né a livello di aggiornamento di previsione». Un «deficit informativo» secondo il lessico Corte dei Conti, un buco nero che diventa ancora più nero nel caso delle misure anti-evasione fiscale: 56 atti in sette anni (64 miliardi il gettito atteso, cioè il 44% dell’aumento complessivo di 145 miliardi di maggiori entrate di cui sono accreditate le 45 manovre dell’intero periodo) di cui un solo atto «consuntivato» e risultato con impatto molto diverso rispetto alle previsioni.
Come si possa procedere così, quasi a tentoni, tra sovrastime, sottostime e aggiornamenti, è difficile dirlo. Deliberare in tema di finanza pubblica senza poco o nulla conoscere sui risultati di ciò che è stato fatto e si va facendo è esercizio acrobatico per qualsiasi governo. Ma sarebbe altrettanto sbagliato osservare che da questo rapporto non esca, nitido, il profilo di un sistema che viaggia storto da anni.
Profilo che il governo Renzi, in preparazione della prossima Legge di stabilità che si annuncia decisiva per far tornare l’Italia su un sentiero di crescita forte e stabile, deve raddrizzare evitando soluzioni pasticciate e compromessi al ribasso. Le certezze non mancano.
Rispetto all’ultimo anno pre-crisi, il 2007, gli effetti redistributivi delle manovre attuate – scrive la Corte dei Conti- si sono tradotti «in aumenti impositivi sul patrimonio immobiliare, sui consumi e sulle rendite, senza che a ciò si sia accompagnata un’equivalente riduzione del prelievo sui fattori produttivi». In Europa, l’Italia è in effetti prima nel prelievo gravante (implict tax rate) sui redditi da lavoro, al secondo posto in quello sui redditi d’impresa, al quarto nella tassazione “ricorrente” sulla proprietà immobiliare con un gettito superiore a quello medio europeo.
Renzi guida il governo da poco più di anno e la magistratura contabile gli dà nel complesso atto di aver cambiato passo e strategia, compresa la revisione del titolo V della Costituzione. Ma certi numeri sono quelli che sono. Tra il 2009 e il 2014 la politica economica ha puntato soprattutto sulle entrate e l’incremento di gettito è di oltre 55 miliardi mentre la spesa primaria corrente – ancorché a motivo della sola componente per prestazioni sociali- è aumentata del di 16 miliardi a fronte della caduta della spesa in conto capitale e del crollo degli investimenti fissi lordi delle amministrazioni pubbliche (flessione cumulata del 39% nel periodo 2010-2014). Quanto agli enti locali, il bilancio della grande riforma federalista avviata nel 2001 e proseguita sul terreno fiscale fino al 2011 è un’altra delle tante occasioni perse. Il rapporto fra spesa dei governi locali e totale della spesa pubblica è rimasto costante e le entrate locali continuano a costituire, nel 2014 come nel 2011, il 20% delle entrate pubbliche totali. Si doveva superare il meccanismo della finanza derivata, in modo da accrescere la responsabilità dei vari livelli di governo: obiettivo mancato.
Abbattere le spese non è e non sarà comunque agevole, alzare le tasse non è possibile e queste vanno anzi ridotte. Come? La Corte dei Conti scrive che sarà difficile “prescindere da una riscrittura del patto sociale che lega i cittadini all’azione di governo e che abbia al proprio centro una riorganizzazione dei servizi di welfare”. Significa ridurre il perimetro dell’intervento dello Stato: la partita delle partite.
Ps. Tra tanti deficit informativi una certezza segnalata nel rapporto. Nel 1990 l’Italia aveva 5.317,4 km di autostrade, nel 2014 erano 5.855. La Francia disponeva nel 1990 di 5.489 Km che sono diventati 9048,1 nel 2014.