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 2015  giugno 12 Venerdì calendario

Una prima condanna per la «coppia dell’acido». Ieri il Tribunale di Milano ha stabilito in primo grado che Alexander Boettcher e Martina Levato dovranno scontare 14 anni di carcere per aver aggredito con l’acido Pietro Barbini, 23 anni, studente, attirato in trappola in una strada di periferia nel tardo pomeriggio del 28 dicembre 2014. Al ragazzo e ai suoi genitori è stato riconosciuto un risarcimento di 1,1 milioni

Come per un omicidio. Non poche sentenze per un assassinio, nei Tribunali italiani, hanno stabilito la stessa pena. Non è un’incongruenza, come potrebbe apparire. Perché bisogna riandare alle parole che alcuni investigatori si sono scambiati durante l’inchiesta: «Gli sfregi sul volto di quei ragazzi sono così drammatici... È come se li avessero uccisi». Questa non può essere, ovviamente, una valutazione giuridica, ma ieri i giudici della nona sezione del Tribunale di Milano hanno condannato Alexander Boettcher e Martina Levato a 14 anni di carcere per aver aggredito con l’acido Pietro Barbini, 23 anni, studente, attirato in trappola in una strada di periferia nel tardo pomeriggio del 28 dicembre 2014. Al ragazzo e ai suoi genitori, assistiti da Paolo Tosoni, è stato riconosciuto un risarcimento di 1,1 milioni.
La storia della «coppia dell’acido» non finisce con questa sentenza. Non solo perché i difensori dei due imputati (Daniele Barelli ed Ermanno Gorpia) hanno già annunciato che andranno in Appello, ma perché presto si aprirà un secondo processo, dove Boettcher e Levato saranno imputati per aver sfregiato con l’acido un altro ragazzo, Stefano Savi, aver provato ad aggredirne un terzo, Giuliano Carparelli, e infine (la sola Martina) aver tentato di evirare il giovane Antonio Margarito, col quale aveva avuto una breve relazione durante una vacanza. Ma soprattutto non è finita, questa vicenda, perché ogni udienza permette di afferrare un tassello in più della deriva psicologica e criminale che ha scatenato gli agguati.
Se era già noto che il movente delle aggressioni fosse la «purificazione del passato sessuale della ragazza» per le relazioni che ha avuto mentre già frequentava il suo complice/amante, ieri Boettcher ha depositato un memoriale in cui sostiene di essere stato inconsapevole del fatto che Martina volesse sfregiare Barbini. I giudici non hanno creduto a questa versione, anche perché Alexander è stato arrestato in flagranza, in via Giulio Carcano, mentre inseguiva il ragazzo impugnando un martello. Nelle 40 pagine in stampatello, Boettcher scrive che Martina, dopo aver confessato i tradimenti, gli avrebbe proposto un patto: «Mi faccio mettere in galera 10 anni, poi sarò un’altra persona e ripartiremo da capo, però vorrei un figlio». La risposta dell’uomo: «Dissi “va bene”, non so cosa mi passò per la testa, ma ero fermamente convinto che avesse trovato una buona soluzione». E se nessuno (tranne Martina) potrà mai dire se quel dialogo si sia svolto davvero in questo modo, di certo quelle parole restano la rappresentazione più agghiacciante della deriva psicologica della coppia, del progetto di «malvagità» e violenza che i due anno concepito e portato avanti per mesi.
I tre agguati si sono svolti infatti tra novembre e dicembre, prima c’erano stati appostamenti e pedinamenti. È la «premeditazione» che ieri i giudici hanno valutato come aggravante, insieme con i «motivi abbietti», l’uso di una sostanza corrosiva come arma, l’azione in coppia. Circa tre mesi sono stati invece necessari per i poliziotti dell’Ufficio prevenzione generale, guidati da Maria Josè Falcicchia, per ricostruire a ritroso quei crimini seriali, partendo dall’agguato a Barbini e allacciando le tracce delle altre aggressioni. E «in cinque mesi e mezzo si è arrivati a una sentenza, un risultato ragguardevole, in termini di giustizia, per un pm “sgobbone”», riflette il tenace pubblico ministero Marcello Musso, che ha lavorato con il procuratore Alberto Nobili.
La sentenza poggia anche sulla relazione dei periti del Tribunale, che hanno stabilito una piena coscienza nei due imputati. Il difensore della Levato ha sostenuto «un vizio parziale» nella personalità borderline della ragazza, ex studentessa della Bocconi. Davanti ai medici di parte, Martina ha pronunciato frasi che, ancora una volta, descrivono l’assurdità alla base di agguati atroci e gratuiti: «Quando ho pensato di essere madre, dovevo liberarmi da esperienze corporee negative, che non avevo condiviso, ero contaminata, adesso il mio corpo si è liberato».