Corriere della Sera, 12 giugno 2015
Ore 15.44, dopo sette mesi torna sulla Terra Samantha Cristoforetti. La lunga avventura della prima astronauta italiana è finita dopo 200 giorni in orbita, un record, condivisi con tweet e collegamenti. Anche ieri, appena svegliata, ha scritto: «Primo mattino del duecentesimo giorno nello Spazio. È stato un viaggio meraviglioso. Grazie per averlo compiuto assieme». Cuore e tessuti, ecco com’è cambiata in orbita
In Italia sono le 15.44 quando la Soyuz tocca terra nelle steppe del Kazakistan. Con il volto sorridente come sempre Samantha Cristoforetti emerge dalla capsula respirando dopo sette mesi l’aria della Terra. La lunga avventura della prima astronauta italiana è finita dopo 200 giorni in orbita, un record, condivisi con tweet e collegamenti. Anche ieri, appena svegliata, ha scritto: «Primo mattino del duecentesimo giorno nello Spazio. È stato un viaggio meraviglioso. Grazie per averlo compiuto assieme. Ora è il momento di tornare a casa sulla Terra. Correremo a bordo della nostra affidabile Soyuz». Poco prima, guardando per l’ultima volta la Penisola dalla stazione spaziale Iss, quasi con un filo di nostalgia, ha inviato una fotografia dello stivale con Milano e Torino luminosissime: «Un’ultima immagine dell’Italia di notte».
Poi ha indossato la bianca tuta Sokol per scivolare nella navicella Soyuz e prepararsi al rientro con i suoi compagni di equipaggio, l’americano Terry Virts e il russo Anton Shkaplerov, il primo a uscire. Atterraggio avvenuto con precisa regolarità a 150 chilometri dalla città di Dzhezkazgan. Prima tappa un controllo medico, poi destinazione Houston.
Come ha raccontato Samantha nei suoi collegamenti dalla Iss, il corpo umano in assenza di gravità subisce uno sconvolgimento che è tanto più intenso più la missione si prolunga. Lei, partita alle 22.01 del 23 novembre 2014, avrebbe dovuto rientrare il 14 maggio, ma l’incidente del 29 aprile che ha comportato la perdita del cargo russo Soyuz ha cambiato i piani e l’organizzazione dei voli. Questo ha fatto di Samantha Cristoforetti la donna che ha trascorso più tempo in orbita in una sola missione, accumulando condizioni più interessanti dal punto di vista fisiologico. «Lassù tutto cambia – spiega Francesco Torchia, medico spaziale dell’Aeronautica Militare —. Sono tre gli aspetti più colpiti: il sistema cardiocircolatorio, quello muscolare e la struttura ossea».
Che cosa esattamente succeda non è ancora del tutto chiaro e questo spiega il ripetersi di esperimenti nelle varie spedizioni. I muscoli perdono intorno al 20% della loro massa e a essere coinvolti non sono solo quelli di braccia e gambe ma anche il cuore che, facendo meno fatica a pompare il sangue, si rimpicciolisce significativamente. Un altro aspetto è quello della perdita di calcio nelle ossa. Ogni mese scompare il 2% della massa ossea perché le cellule non riescono più a riprodursi come dovrebbero. Ma quando si rientra sulla Terra torna l’equilibrio. Per la prima volta nella missione di Samantha si è tentato un esperimento con le staminali finalizzato al blocco dell’osteoporosi, come viene chiamato il distruttivo processo che interessa gli anziani. Se si riuscirà a trovare un rimedio per far star meglio gli astronauti questo sarà prezioso anche per la vecchiaia terrestre. Il sistema cardiocircolatorio, inoltre, subisce un dissesto che leggiamo sui volti degli astronauti sempre gonfi perché non essendoci più la gravità il sangue fluisce prepotentemente in ogni angolo del corpo, testa compresa.
Se questi sono gli effetti più macroscopici altri e altrettanto importanti si manifestano. Il sistema immunitario si indebolisce rendendo l’organismo più vulnerabile alle malattie, la circolazione dell’ossigeno nei tessuti periferici come le mani si riduce alterando importanti processi naturali.
Ecco le difficili condizioni alle quali deve far fronte un astronauta. Due sono finora le vie praticate. La prima è una dieta che compensi alcune alterazioni, la seconda, è un’attività fisica costante. Ogni giorno per circa un’ora e mezza la stazione si trasforma in una palestra per correre su un tapis roulant, fare cyclette o sollevare pesi con un marchingegno inventato apposta. Infine si indossa la speciale tuta Penguin per forzare la circolazione sanguigna in modo diverso.
«Le alterazioni non sono patologie ma un adattamento dell’organismo al nuovo ambiente», precisa Torchia ricordando che per circa un mese dopo il rientro un astronauta è impegnato nel recupero delle normali condizioni fisiche.