il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2015
«Suore, da oggi in poi comando io, se no, vi piscio in bocca». Questo è la frase, che secondo la procura, inaugura la stagione del potere azzolliniano. Il senatore è accusato di aver sfruttato il crac dell’ex manicomio di Bisceglie mentre al direttore amministrativo della sede di Foggia della Casa della Divina Provvidenza tocca anche l’aggravante di aver agito in danno dell’Ente «anche allo scopo abietto di ottenere prestazioni sessuali da una signora, anche sodomitiche»
S’è sentito a lungo l’uomo giusto al posto giusto, il senatore dell’Ncd Antonio Azzollini, che tuttora presiede la commissione Bilancio del Senato. Il posto giusto per lui, secondo la Procura di Trani, è però il carcere. L’accusa – associazione per delinquere per un crac da 500 milioni – è tra le più pesanti in questa storia che tocca uno dei luoghi più dolenti della storia italiana, la Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza, che affonda le radici nel più grande manicomio d’Italia, quello di Bisceglie.
Non mancano provviste transitate nello Ior, in fiduciarie italiane, infine scudate proprio dalle suore dell’istituto. Ma il bilancio dell’ente versava nel dissesto totale. Bisognava tamponare le perdite, eludere il pagamento dei debiti, ed ecco che a salvare la “baracca” si presenta lui, Azzollini, che da presidente della commissione Bilancio al Senato, è in grado di fare il “miracolo”. Può per esempio introdurre una norma che aiuta la congregazione a sospendere il pagamento degli oneri erariali e previdenziali. E lo fa quando l’ente è ormai in amministrazione straordinaria. Ad ammetterlo, lo stesso amministratore straordinario Bartolomeo Cozzoli: “Il senatore Azzollini è il… il padre di quella norma che… ha consentito alla Congregazione di andare avanti nonostante i risultati di gestione fossero pessimi, cioè la sospensione degli oneri erariali e previdenziali… ha avuto la funzione di… di drogare quella condizione fino a farla diventare esplosiva”. Il punto, secondo l’accusa – sostenuta dal pm Silvia Curione, l’aggiunto Francesco Giannella e il procuratore Carlo Maria Capristo – è che Azzollini, di fatto, diventa il vero amministratore dell’Ente dal luglio 2009 e viene accusato di “dissipazione delle ricchezze, occultamento di ingenti somme di denaro, assunzioni clientelari di personale inutile o incompetente, falsificazione delle scritture contabili, pagamenti preferenziali, erogazione di compensi esagerati a consulenti e fornitori”. In sostanza: contribuiva “al depauperamento delle risorse dell’Ente, sino alla inevitabile decozione”. Tra le assunzioni, anche quella di Silvia Di Gioia – 84 mila euro netti l’anno a partire dal 2008 – figlia di Raffaele, deputato del Psi: entrambi sono indagati sia per falso ideologico sia per reati legati al dissesto dell’ente.
Per controllare la Casa della Provvidenza, poi, imponeva “agli organi di vertice la presenza di Angelo Belsito e Rocco Di Terlizzi”, prevaricando le altre suore del Consiglio generale. Quindi imponeva “assunzioni di personale” e “fornitori a lui graditi” per “assicurarsi un sicuro bacino di consenso politico-personale”. “In cambio – sostiene l’accusa – offriva la sua attivazione per assicurare alla Congregazione la proroga legislativa della sospensione degli obblighi fiscali e contributivi, più volte prorogata proprio grazie all’intervento del politico”, e grazie alla quale “garantiva un’indebita moratoria fiscale finalizzata a ritardare l’emersione dello stato di dissesto e neutralizzare la richiesta di fallimento avanzata dalla Procura di Trani”. In compenso, la sola assunzione di Di Terlizzi – tra il 2010 e il 2013 – costava ben 395 mila euro. Arrivato il fallimento, Azzollini cerca di “interferire con il MI.S.E. sul versante del numero dei commissari (tre e non uno) e della scelta degli stessi” per “mantenere di fatto la gestione durante l’Amministrazione straordinaria, coltivando il progetto di rientrarne in possesso una volta depurato dall’immenso disavanzo economico”. Dagli atti d’inchiesta emerge anche l’oscura storia finanziaria dell’Ente, che conta sedi anche in Basilicata, e vanta bonifici da 10 miliardi di lire su conti Ior nel solo anno 2000”. La Guardia di Finanza e la procura – che ringraziano lo Ior per la sua collaborazione – scoprono “una vera e propria emorragia di danaro dai conti correnti della Congregazione” a un altro conto denominato “Casa di Procura”. Secondo la suora Assunta Puzzello, dalla Banca del Vaticano, per effetto dello “scudo fiscale” circa 7-8 milioni di euro erano rientrati sul conto Casa di Procura. Un attivo nato ai tempi dell’ex direttore generale della congregazione Lorenzo Leone. Soltanto tra il 1999 e il 2004 i fondi depositati sui conti intestati alla Congregazione, accesi presso lo Ior, pari a 35,5 milioni, sono stati trasferiti sui conti di Casa Procura, poi in parte sequestrati – 28 milioni – proprio dalla Procura di Trani nel 2013. E così, tra i 45 indagati e i 10 arresti disposti dal gip Rossella Volpe, si contano anche quelli per la legale rappresentante suor Marcella e l’economa suor Consolata.
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Era una persona che si intrometteva in tutte le cose che accadevano dentro la Casa Divina Provvidenza”, dice il testimone Nicolino Lo Gatto, e per spiegare la forza del senatore pugliese, Lo Gatto, cita un episodio: “Ho sentito il senatore Azzollini dire queste parole alle suore: ‘Da oggi in poi comando io, se no, vi piscio in bocca’. Era il 2006, 2007, 2008. … lui voleva entrare al comando della Casa Divina Provvidenza e ha usato questa …Azzollini è andato dentro la direzione generale e, gridando, ha detto queste parole. C’era Azzollini… la madre generale, la vicaria … suor Chiara. … Non ho sentito reazione delle suore. Mah, quando sono uscite erano un po’ dispiaciute, un po’ amareggiate”.
Il pm domanda: “Ma cos’è cambiato da quel momento, da questo episodio?”. Lo Gatto risponde: “Che hanno iniziato a far comandare Azzollini…”.
L’episodio, secondo la procura, ha una “portata intimidatoria” che “si apprezza in tutta la sua incisività in considerazione del destinatario (le suore) e inaugura la stagione del potere azzolliniano”.
Oltre il linguaggio di Azzolini, dagli atti d’indagine, emergono intercettazioni con riferimenti esplicitamente sessuali.
Al punto che – caso più unico che raro – nella richiesta di arresto si scopre una singolare aggravante: quella di aver “agito in danno dell’Ente anche allo scopo abietto di ottenere prestazioni sessuali dalla signora (…) anche sodomitiche”.
32 giorni e mezzo
L’accusa, che non riguarda Azzollini, tocca il direttore amministrativo della sede foggiana della Casa della Divina Provvidenza. La signora, che era anche la sua amante, “si assentava sistematicamente dal posto di lavoro per esigenze personali di tipo voluttuario” ma “percepiva ugualmente i suoi emolumenti” e persino “32 giorni di ferie per l’anno di lavoro successivo”.
Pena e lubrificante
Nel 2009, però, la donna teme un pregiudizio e – forse in seguito a un tradimento – “al fine di non pregiudicare la sua posizione lavorativa, conferma la volontà di non interrompere la relazione sentimentale” con il direttore amministrativo, mostrandosi disponibile ad accettare ‘la punizione sessuale’ propostale dall’amante per ottenere il perdono”. “Dimmi quale deve esser la mia pena. L’accetto. Dimmi quello che devo fare …”. La richiesta è esplicita: “Avevo pensato al tuo sedere per tre mesi”. “Accetto questa pena, accetto il culo, accetto tutto”, risponde la signora, che impone come contro-condizione l’utilizzo di un “lubrificante” e il pm – che li indaga entrambi – aggiunge nell’aggravante la sodomia.
Buona uscita e brutta figura
È così che tra il 2007 e il 2011, si procedeva a circa 260 assunzioni, salvo mettere in mobilità 450 dipendenti. Ma la figlia del deputato Lello Di Gioia, Silvia, nel 2008 decide spontaneamente di lasciare il suo posto di lavoro a tempo indeterminato. Suo padre chiede una cortesia al direttore ammnistrativo che viene intercettato mentre parla con un funzionario: “Ascolta Augusto, Lello Di Gioia mi ha detto che la figlia vorrebbe lasciare l’ospedale. Cioè se ne vuole andare. Ha detto: senti, però vorrebbe una buona uscita, una cosa. E dico: che buona uscita? Avrà il TFR quello che le spetta. Dice: no. Ma visto che se ne va volontariamente se può avere qualche mensilità. Lui aveva detto, dice: una decina. Ho detto: guarda, facciamo che ne sono cinque o sei massimo”. Poi è lo stesso Di Gioia a contattare il direttore amministrativo: “Se tu fai quella risposta che mi hai detto non c’è problema, hai capito?”. C’è però un problema: l’ente sta licenziando. “Va bene”, dice il direttore, “questo mo’…sai che siamo in piano di rientro, stiamo facendo i licenziamenti …”. passa qualche settimana e il parlamentare sbotta: “Caro Dario – scrive al direttore amministrativo – penso di avere avuto con te e con la Casa un rapporto di correttezza e di piena disponibilità, mi dispiace questo vostro comportamento di continuo rinviare nonostante avessimo parlato io e te già da una settimana. Tuttavia devi sapere che la cosa che più mi da fastidio è di aver fatto una bruttissima figura con mia figlia e questo sinceramente avrei voluto evitarlo. Comunque mi fai la gentilezza di lasciar perdere perché Silvia oggi stesso consegnerà la lettera di licenziamento togliendo il disturbo”. Oggi la ragazza lavora per Poste Vita. Suo padre invece presiede la Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.